giovedì 31 marzo 2016

Anatomia di un rapimento (Tengoku to jigoku, 1963) di Akira Kurosawa

Uno studente in medicina vuol rapire il figlio di un ricco industriale, Kingo Gondo, ma, per errore, rapisce il figlio del suo autista. Gondo, in procinto di acquisire il pacchetto azionario di maggioranza della società a cui ambiva da sempre, decide lo stesso di pagare l’ingente riscatto, rinunciando alla sua scalata imprenditoriale e dimostrando grande nobiltà d’animo. Intanto la polizia si mette sulle tracce del rapitore, ma l’indagine sarà pericolosa. Primo noir di Kurosawa, celebre “saccheggiatore” di generi occidentali, tratto dal romanzo “Due colpi in uno” di Ed McBain. Nelle pieghe di un poliziesco nero, diretto con impeccabile rigore formale dal Maestro giapponese, si cela un cupo apologo etico sul potere del male e sulle misteriose connessioni che regolano il destino degli uomini. E’ un film costruito sul contrasto tra opposti: bene e male, ricchezza e miseria, vittime e carnefici, inferno e paradiso. La seconda parte, straordinaria, adatta la materia del romanzo ispiratore alla realtà giapponese, diventando una lucida riflessione sulla lotta di classe in cui la distinzione tra buoni e cattivi è così sfumata da risultare di ardua catalogazione. Memorabile e straniante la sequenza della visita nei bassifondi di Tokyo, nei quartieri della droga, con l’irruzione notturna nella casa sulla collina. Tra l’altro il sottofondo musicale di questa scena è la celebre canzone italiana “O sole mio”. Ma anche il viaggio in treno ed il confronto finale tra Gondo e il rapitore sono momenti di grande impatto emotivo. Toshiro Mifune, nel ruolo di Gondo, è, come al solito, eccellente. Anatomia di un rapimento è stato il primo film in bianco e nero in cui compare un dettaglio a colori, il fumo rossastro di una ciminiera industriale. Questo particolare vezzo stilistico è stato poi imitato da moltissimi registi come, ad esempio, Spielberg e Coppola.

Voto:
voto: 4/5

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