mercoledì 30 marzo 2016

L'avvocato del diavolo (The Devil's Advocate, 1997) di Taylor Hackford

Il giovane avvocato Kevin Lomax, tanto brillante quanto vanitoso, non ha mai perso una causa. Mai pago dei suoi successi lascia la Florida per un importante studio legale di New York, dove conosce il carismatico John Milton, capo dell’imponente struttura, che lo prende sotto la sua ala protettrice. Ma ben presto la vita da sogno di Kevin nella “grande mela” si trasforma in un incubo quando la moglie Mary Ann inizia ad avere orribili allucinazioni che la fanno precipitare in uno stato di disordine mentale. Diviso tra l’amore per sua moglie e la sua sfrenata ambizione, l’avvocato inizia a sospettare che l’affabulatore Milton abbia qualche oscuro segreto da nascondere e dovrà fare i conti con la sua coscienza per decidere se vendere o meno la sua anima al diavolo. Ambizioso horror a sfondo legale che cerca di mescolare, a volte maldestramente, temi e suggestioni diverse: sovrannaturale, dramma, religione, thriller, demonologia, pessimismo antropologico, satira sul rampantismo, apologo faustiano, parabola morale, riflessione sull’ambigua professione degli avvocati. Si procede, un po’ confusamente, per accumulo di situazioni eclatanti, sentenze lapidarie di forte effetto, scene cruente, cadute di stile, momenti grevi, anche se alcune trovate visionarie funzionano egregiamente e l’idea di accostare gli avvocati all’esercito del male che conquisterà il mondo ha un suo fascino oscuro. Conturbante ed enigmatico nel suo incedere, utilizza spesso la malia dell’erotismo per scivolare sotto pelle, aumentando il suo senso d’inquietudine a mano a mano che si procede verso un finale annunciato. Peccato che ci sia sempre troppo o troppo poco e che il film finisca per sfuggire di mano al regista, rivelandosi un tronfio sermone spettacolare privo di equilibrio sospeso tra becero e sublime, con costanti scivoloni nel ridicolo involontario. Buoni gli effetti speciali e ottimo il cast, con Al Pacino sempre sopra le righe, ma straordinario nel monologo finale (egregiamente doppiato da Giancarlo Giannini nell’edizione italiana), Keanu Reeves nei panni del superbo Kevin Lomax e Charlize Theron incredibilmente intensa nel ruolo della fragile Mary Ann, vittima innocente della rapacità del sogno americano. E’ liberamente tratto dal romanzo omonimo di Andrew Neiderman, anche se il regista trasse spunto anche da altri classici della letteratura, come il poema “Paradiso perduto” di John Milton che, guarda caso, è anche il nome del personaggio interpretato da Pacino. La pellicola ebbe un buon successo e raggiunse una certa popolarità alla sua uscita, ma poteva essere decisamente un film migliore abbassandone le pretese e restringendone il campo d’azione. Incompiuto.

La frase:Vanità, decisamente il mio peccato preferito

Voto:
voto: 3/5

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