Le ultime 12 ore di vita di Gesù di
Nazareth: dall’orto degli ulivi al bacio di Giuda, dal processo sommario
davanti ai saggi del Sinedrio al giudizio del governatore romano Ponzio Pilato,
dalla flagellazione alla crocifissione, fino alla morte sul Golgota. Al di là
di ogni credo religioso e di qualunque posizione morale credo sia indiscutibile
affermare che La passione di Cristo
sia stato, nel bene e nel male, l’evento cinematografico dell’anno 2004.
Osteggiato e controverso già durante le fasi della lavorazione, dove erano
trapelate chiaramente le intenzioni e le scelte estreme del discusso regista
americano, il film ha spaccato in due critica e pubblico, ha generato dibattiti
accessi creando fazioni opposte anche negli stessi cattolici, è stato bandito
dagli ebrei con accuse di antisemitismo e, a tutt’oggi, non riesce a produrre
un punto di vista moderato. Nonostante tutto questo (anzi, proprio grazie a
tutto questo) è stato un clamoroso successo economico, soprattutto in America
dove ha sbancato i botteghini polverizzando tutti i record precedenti e
generando curiosi fenomeni di fanatismo popolare. Al di là di tutta questa
enfasi (chiaramente esagerata) va detto che si sta parlando semplicemente di un
film, un prodotto “artistico” che porta sullo schermo una visione soggettiva
(quella del regista) e, mai come in questo caso, sarebbe opportuno parlare di
“passione di Gibson”. Girato interamente
in Italia (tra la pasoliniana Matera e gli studi di Cinecittà), recitato nelle
lingue originali del tempo (aramaico e latino), ma opportunamente sottotitolato
per rendere meno ostica la visione, presentato come il più realistico film sul
Cristo mai realizzato, è un classico esempio di furba operazione commerciale
perfettamente riuscita, travestita da “documentario” religioso. Gibson si è
ispirato ai quattro vangeli ufficiali, ai controversi diari della mistica
tedesca Anna Katharina Emmerick, all’iconografia cattolica popolare ed alla sua
fantasia di (presunto) credente in odore di integralismo cristiano. Il
risultato finale è un efferato concentrato di sangue, violenza e dolore inteso
a suscitare l’inevitabile shock dello spettatore. Uno shock tanto più forte e
disturbante, visto che l’oggetto di tanto accanimento splatter è il corpo di
Gesù Cristo. Senza lasciare nulla all’immaginazione l’autore, fedele alla sua
estetica dell’esibizione cruenta, ci immerge in un tripudio di sequenze
sadiche, durante le quali il corpo di Cristo viene letteralmente maciullato,
con una ferocia che sa di morboso. La fede, la mistica, la compassione, il
rivoluzionario messaggio contenuto nelle parole di Cristo, l’anima della sua
dottrina, sono praticamente assenti e non bastano un paio di flashback sparsi
qua e là per evocarli. Come prova evidente di questa tesi basti solo citare i
due minuti scarsi di resurrezione (nel finale) rispetto ai quindici
(insostenibili) della flagellazione, la cui compiaciuta insistenza vira,
evidentemente, nel sadismo. Al di là di ogni moralismo è un film bieco, che ha
poco a che spartire con il religioso e che ha spettacolarizzato nel modo più
crudele il dolore del Cristo per scopi puramente commerciali. Insomma un grande
bluff, tra l’altro perfettamente riuscito visto che sono stati in tanti ad
abboccare. Dal punto di vista strettamente cinematografico la pellicola ha i
suoi indubbi meriti tecnici: una fotografia molto espressiva, delle scenografie
ben curate, delle musiche di potente suggestione, un trucco straordinario ed
alcuni virtuosismi registici pregevoli ma autoreferenziali. La scena migliore,
assolutamente magistrale, è il prologo nel Getsemani, che ha delle inquietanti
atmosfere horror e contiene momenti di grande cinema. Il presunto “realismo”
sbandierato dall’autore può essere facilmente smontato elencando la miriade di
errori, inesattezze, omissioni e licenze sia dal punto di vista filologico (i
Vangeli ufficiali) sia da quello strettamente storico. Nel cast, in gran parte
italiano, vanno citati Jim Caviezel (encomiabile per la sua totale adesione
fisica alla violenta visione di Gibson), Maia Morgenstern, Monica Bellucci,
Rosalinda Celentano, Sergio Rubini, Claudia Gerini. La bufala messa in giro dai
distributori, alla vigilia dell’uscita italiana del film, secondo cui papa Wojtyła,
dopo averlo visto, avrebbe approvato dicendo “è stato veramente così”, è l’emblema perfetto di ciò che la
pellicola è. Un grande bluff architettato con lungimirante preveggenza. E’
paradossale notare come questo film innaturalmente spietato sia stato realizzato da uno sbandierato
credente e che, di contro, un non credente, costantemente nel mirino dei
cattolici, come Pasolini abbia dato vita al miglior film sul Cristo mai
realizzato: Il
vangelo secondo Matteo. Come a dire: “scherza coi fanti e lascia stare i santi”. Chi vuol capire,
capisca.
La frase: “mutate
flagellum!”
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