mercoledì 30 marzo 2016

La passione di Cristo (The Passion of the Christ, 2004) di Mel Gibson

Le ultime 12 ore di vita di Gesù di Nazareth: dall’orto degli ulivi al bacio di Giuda, dal processo sommario davanti ai saggi del Sinedrio al giudizio del governatore romano Ponzio Pilato, dalla flagellazione alla crocifissione, fino alla morte sul Golgota. Al di là di ogni credo religioso e di qualunque posizione morale credo sia indiscutibile affermare che La passione di Cristo sia stato, nel bene e nel male, l’evento cinematografico dell’anno 2004. Osteggiato e controverso già durante le fasi della lavorazione, dove erano trapelate chiaramente le intenzioni e le scelte estreme del discusso regista americano, il film ha spaccato in due critica e pubblico, ha generato dibattiti accessi creando fazioni opposte anche negli stessi cattolici, è stato bandito dagli ebrei con accuse di antisemitismo e, a tutt’oggi, non riesce a produrre un punto di vista moderato. Nonostante tutto questo (anzi, proprio grazie a tutto questo) è stato un clamoroso successo economico, soprattutto in America dove ha sbancato i botteghini polverizzando tutti i record precedenti e generando curiosi fenomeni di fanatismo popolare. Al di là di tutta questa enfasi (chiaramente esagerata) va detto che si sta parlando semplicemente di un film, un prodotto “artistico” che porta sullo schermo una visione soggettiva (quella del regista) e, mai come in questo caso, sarebbe opportuno parlare di “passione di Gibson”.  Girato interamente in Italia (tra la pasoliniana Matera e gli studi di Cinecittà), recitato nelle lingue originali del tempo (aramaico e latino), ma opportunamente sottotitolato per rendere meno ostica la visione, presentato come il più realistico film sul Cristo mai realizzato, è un classico esempio di furba operazione commerciale perfettamente riuscita, travestita da “documentario” religioso. Gibson si è ispirato ai quattro vangeli ufficiali, ai controversi diari della mistica tedesca Anna Katharina Emmerick, all’iconografia cattolica popolare ed alla sua fantasia di (presunto) credente in odore di integralismo cristiano. Il risultato finale è un efferato concentrato di sangue, violenza e dolore inteso a suscitare l’inevitabile shock dello spettatore. Uno shock tanto più forte e disturbante, visto che l’oggetto di tanto accanimento splatter è il corpo di Gesù Cristo. Senza lasciare nulla all’immaginazione l’autore, fedele alla sua estetica dell’esibizione cruenta, ci immerge in un tripudio di sequenze sadiche, durante le quali il corpo di Cristo viene letteralmente maciullato, con una ferocia che sa di morboso. La fede, la mistica, la compassione, il rivoluzionario messaggio contenuto nelle parole di Cristo, l’anima della sua dottrina, sono praticamente assenti e non bastano un paio di flashback sparsi qua e là per evocarli. Come prova evidente di questa tesi basti solo citare i due minuti scarsi di resurrezione (nel finale) rispetto ai quindici (insostenibili) della flagellazione, la cui compiaciuta insistenza vira, evidentemente, nel sadismo. Al di là di ogni moralismo è un film bieco, che ha poco a che spartire con il religioso e che ha spettacolarizzato nel modo più crudele il dolore del Cristo per scopi puramente commerciali. Insomma un grande bluff, tra l’altro perfettamente riuscito visto che sono stati in tanti ad abboccare. Dal punto di vista strettamente cinematografico la pellicola ha i suoi indubbi meriti tecnici: una fotografia molto espressiva, delle scenografie ben curate, delle musiche di potente suggestione, un trucco straordinario ed alcuni virtuosismi registici pregevoli ma autoreferenziali. La scena migliore, assolutamente magistrale, è il prologo nel Getsemani, che ha delle inquietanti atmosfere horror e contiene momenti di grande cinema. Il presunto “realismo” sbandierato dall’autore può essere facilmente smontato elencando la miriade di errori, inesattezze, omissioni e licenze sia dal punto di vista filologico (i Vangeli ufficiali) sia da quello strettamente storico. Nel cast, in gran parte italiano, vanno citati Jim Caviezel (encomiabile per la sua totale adesione fisica alla violenta visione di Gibson), Maia Morgenstern, Monica Bellucci, Rosalinda Celentano, Sergio Rubini, Claudia Gerini. La bufala messa in giro dai distributori, alla vigilia dell’uscita italiana del film, secondo cui papa Wojtyła, dopo averlo visto, avrebbe approvato dicendo “è stato veramente così”, è l’emblema perfetto di ciò che la pellicola è. Un grande bluff architettato con lungimirante preveggenza. E’ paradossale notare come questo film innaturalmente spietato sia stato realizzato da uno sbandierato credente e che, di contro, un non credente, costantemente nel mirino dei cattolici, come Pasolini abbia dato vita al miglior film sul Cristo mai realizzato: Il vangelo secondo Matteo. Come a dire: “scherza coi fanti e lascia stare i santi”. Chi vuol capire, capisca.
 
La frase:mutate flagellum!

 
Voto:
voto: 2,5/5

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