Il giovane professore di matematica Michele Apicella è un solitario moralista,
compulsivo nei suoi atteggiamenti nevrotici e pieno di manie, come la cura
maniacale dell’igiene o il timore della sessualità. Trasferitosi a Roma,
trascorre le giornate osservando le coppie di amici con morbosa curiosità e
annotando le sue osservazioni in uno schedario personale, che cura con
meticolosa dedizione. L’incontro con la collega Bianca provoca uno scossone
emotivo nella sua routine ed il nostro cerca di allacciare una relazione con la
donna. Il quarto film di Nanni Moretti, che ha ancora per protagonista il suo
alter ego immaginario Michele Apicella, è anche il suo migliore, il più denso,
il più compatto e il più ricco d’inventiva della sua brillante carriera di
regista. Commedia sarcastica abilmente modulata tra umorismo esilarante, picchi
di perfido cinismo e ironia grottesca, è una summa gustosa dell’estetica
morettiana, tra impegno politico, acuto intellettualismo e satira di costume a
sfondo sociale. Il meccanismo giallo, ingegnosamente nascosto nella vivace
struttura dell’opera, è un valore aggiunto che la conduce verso atmosfere
“noir” che si sposano felicemente con l’intimismo nevrotico del personaggio
protagonista, un voyeur anaffettivo che attraversa la società italiana degli
anni ’80 con comportamenti disarmanti, in bilico tra il tenero e il patologico,
atti a suggerire il disagio di una generazione appena uscita dagli “anni di
piombo” con la certezza che la felicità esistenziale sia una mera utopia. Tra
citazioni cinefile (Hitchcock, Truffaut) ed omaggi musicali (Battiato,
Battisti, Paoli, Caselli), Moretti ci conduce con piacevole leggerezza nel
mondo stralunato di Apicella, ce ne rende “complici” nei momenti in cui la macchina
da presa lo spia a spiare le vite degli altri, e ci ammalia con irresistibili
momenti surreali come la descrizione dell’istituto didattico sperimentale "Marilyn
Monroe" munito di bar, flipper e slot machine, con seminari su Gino Paoli,
la foto di Zoff al posto di quella di Pertini e persino uno psicologo a
disposizione dei professori. L’autore carica il suo alter ego di ambiguità, di
malesseri e di umori corrosivi, rendendolo un pittoresco disadattato alla
disperata ricerca di equilibrio, un simbolo dolente dell’intellettuale del suo
tempo, sballottato tra fobie e feticismi, la prova tangibile che concetti
spesso sbandierati, come moralità e scandalo, risiedano sul confine sottile di
un’indefinibile convivenza. Nel cast svettano i due protagonisti, Nanni Moretti
e Laura Morante, entrambi bravissimi, il cui evidente affiatamento artistico
conferisce al film una marcia in più, ma anche il felpato commissario di Roberto
Vezzosi è un personaggio splendidamente riuscito. Bianca è il film più compiuto e coeso del regista trentino, una
metafora buffa ed amara della solitudine umana, una favola paradossale che,
sotto la patina dell’esasperazione, cela la sua reale natura di apologo
introspettivo. Per la prima volta la poetica morettiana non si limita più a
svolazzare leggera tra nevrosi, narcisismo e politica, ma si confronta con un
genere, forse qui pretestuoso ma di certo nobile, come il giallo, e viene
inquadrata da un eccellente lavoro preventivo di scrittura: la sceneggiatura
elaborata da Sandro Petraglia insieme al regista. In virtù di questo lo sguardo
dell’autore è più lucido, più penetrante, il vincolo autobiografico delle prime
opere si estende a una dimensione collettiva e la sua visione del mondo si
condensa in una scettica smorfia tragicomica, che va oltre il riflusso
post-sessantottino e punta idealmente il dito contro la debolezza umana, che ha
barattato gli ideali di purezza con un disimpegnato permissivismo. In questo
risiede il senso intimo del film: Moretti/Apicella teorizza la scelta estrema
di non amare, di non essere felice, di non allacciare rapporti con gli altri, visto
che non è possibile farlo in maniera assoluta, profonda, duratura. La sua
nevrosi esistenziale discende dall’incapacità di accettare l’imperfezione
dell’uomo e l’effimera meschinità delle sue relazioni, basate sul piacere
momentaneo invece che su una stabile solidità. In tal senso Bianca è la sua opera più intransigente,
più integralista, più amara ma anche, e questo è un paradosso meraviglioso, la
più divertente visto che contiene i momenti umoristici più memorabili del
cinema di Moretti. Tra le tante gag comiche della pellicola è rimasta celebre
quella, geniale, del bicchierone di nutella (una feroce metafora surreale del
disagio affettivo del protagonista), che è poi divenuta un’icona del cinema
morettiano. Ma vanno altresì menzionati l’esilarante dialogo sul Montblanc e la Sacher Torte o quello
sulle espadrillas. Il finale glaciale e “sacrificale” ha un tono sottilmente
apocalittico, che va ben al di là del mero disincanto generazionale. La
lapidaria frase di Apicella (“È triste
morire senza figli”) è un raggelante atto di resa di fronte al senso di
frustrazione e di solitudine che attanaglia l’uomo moderno, e sembra dirci, quasi
anticipando il film successivo, che la messa è davvero finita.
La
frase:
-
"Cioè...Lei, praticamente, non ha mai assaggiato la Sacher Torte?"
-
"No."
-
"Vabbè, continuiamo così, facciamoci del male."
Voto:
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