lunedì 21 marzo 2016

Da morire (To Die For, 1995) di Gus Van Sant

Suzanne Stone è una biondina sexy, esuberante e svampita, disposta a tutto pur di realizzare il suo sogno di diventare una star televisiva. Ferocemente determinata nel suo obiettivo, dapprima sposa il ricco e rozzo italoamericano Larry Maretto, la cui famiglia ha sospette connivenze mafiose, e poi seduce un adolescente problematico per liberarsi dell’assillante marito. Ma il suo disegno criminoso ha dei punti deboli e non tutto andrà come previsto. Dal romanzo di Joyce Maynard, Van Sant ha tratto questa crudele satira nera sulla società arrivistica americana, in cui il consumismo sfrenato ha sovralimentato la mitologia del successo personale, trasformandolo in un’aberrazione sociale. Utilizzando i tempi della black comedy, il linguaggio sovraeccitato dei media ed una messa in scena acre, che oscilla tra tragico e grottesco, questo affilato pamphlet sociologico mette alla berlina le donne in carriera, la rapacità del sogno americano, la sottile manipolazione psicologica operata dal mezzo televisivo e la società dello spettacolo, il cui lavaggio del cervello ha obnubilato la coscienza collettiva, generando una generazione di ottusi arrampicatori sociali. Paradigmatica nel senso e perfida nella forma, quest’opera su commissione dell’autore del Kentucky pone anche preoccupanti interrogativi sul perbenismo della provincia americana (dietro i cui modi benevoli si cela un profondo lato oscuro) e sulla deformazione edulcorata della realtà prodotta dallo stillicidio quotidiano che lo showbiz ci propina attraverso il piccolo schermo. Diretto con abilità e classe, il film riesce ad essere, contemporaneamente, divertente e apocalittico, e trova ulteriore linfa espressiva nella bella colonna sonora rockeggiante e nelle eccellenti interpretazioni del ricco cast, in cui Matt Dillon, Joaquin Phoenix e Casey Affleck accompagnano la stella Nicole Kidman, perfetta nel ruolo di questa “Barbie” di provincia senza scrupoli. Nonostante l’evidente impianto “a tesi”, il regista mette in piedi un ritratto crudelmente attuale, amaramente veritiero, pur nell’evidente deformazione grottesca, e causticamente accusatorio, senza mai scadere nel banale didascalismo moraleggiante. La Kidman, con il suo fascino algido e sofisticato, è l’incarnazione ideale del sogno televisivo, di quella informazione spettacolo basata sull’immagine che procede per slogan ed alimenta la non-cultura. Geniale e gustosissima la scelta di far recitare, in un piccolo cameo, David Cronenberg, “padre” di Videodrome, nel ruolo del killer mafioso.

Voto:
voto: 4/5

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