Quattro amici amanti della natura e
dell’avventura decidono di trascorrere un weekend discendendo in canoa il fiume
Chattooga nel suo tratto più selvaggio, attraverso la valle del Cahula. Quando
si scontreranno con un gruppo di brutali “rednecks”
locali, per loro sarà l’inizio di un incubo e la natura incontaminata svelerà presto
il suo volto più crudele. Inquietante dramma avventuroso, tratto dal romanzo “Dove Porta il fiume” di James Dickey,
autore della sceneggiatura e protagonista di un piccolo ruolo nel film nei
panni dello sceriffo. E’ il capolavoro di Boorman, interamente costruito sullo
scontro tra civiltà e natura, tra mondo urbano e mondo rurale, in accordo a uno
dei grandi archetipi della letteratura nord americana. Violento e teso, a
tratti disturbante nella sua brutalità, è un cupo apologo sulla sopravvivenza
in condizioni estreme, che abbatte la mitologia edulcorata del paradiso
selvaggio e ci sbatte in faccia la bestialità ferina necessaria a confrontarsi
con un ambiente primordiale ostile. Il fiume assume i connotati di elemento
simbolico di confine tra i due mondi ed il viaggio lungo di esso sarà un
doloroso percorso iniziatico nei recessi oscuri dell’inconscio, alla ricerca di
quella ferocia primitiva che fa parte del nostro retaggio ancestrale. Alla sua
uscita il film suscitò, nello stesso tempo, scalpore per i contenuti violenti
(è rimasta celebre la scena dello stupro omosessuale subito da uno dei quattro
amici) ma anche profondo interesse per la modalità di esposizione di tematiche fino
ad allora poco esplorate dal cinema, al punto che molti ci videro l’iniziatore
di un nuovo sottogenere (il così detto “rural
gothic”). Girato con estremo realismo nei boschi tra South Carolina e
Georgia, vanta una buona squadra di attori, in cui spiccano Jon Voight e Burt
Reynolds, che all’epoca (senza i baffi d’ordinanza) era all’apice del suo
splendore fisico e della sua popolarità. Questo ruvido cult nero appartiene a
quella schiera di film inquietanti degli anni ’70, come Cane
di paglia o Arancia
Meccanica, che riflettono sulle radici del male, insito nella natura
umana e pronto a scatenarsi in determinate condizioni. Fu candidato a tre premi
Oscar (miglior film, miglior regia e miglior montaggio) ma non vinse nessuna
statuetta. Memorabile la scena iniziale con il duetto musicale tra chitarra e
banjo, l’unico elemento positivo di contatto tra i due mondi posti in antitesi
dal film.
Voto:
Nessun commento:
Posta un commento