martedì 29 marzo 2016

Un tranquillo weekend di paura (Deliverance, 1972) di John Boorman

Quattro amici amanti della natura e dell’avventura decidono di trascorrere un weekend discendendo in canoa il fiume Chattooga nel suo tratto più selvaggio, attraverso la valle del Cahula. Quando si scontreranno con un gruppo di brutali “rednecks” locali, per loro sarà l’inizio di un incubo e la natura incontaminata svelerà presto il suo volto più crudele. Inquietante dramma avventuroso, tratto dal romanzo “Dove Porta il fiume” di James Dickey, autore della sceneggiatura e protagonista di un piccolo ruolo nel film nei panni dello sceriffo. E’ il capolavoro di Boorman, interamente costruito sullo scontro tra civiltà e natura, tra mondo urbano e mondo rurale, in accordo a uno dei grandi archetipi della letteratura nord americana. Violento e teso, a tratti disturbante nella sua brutalità, è un cupo apologo sulla sopravvivenza in condizioni estreme, che abbatte la mitologia edulcorata del paradiso selvaggio e ci sbatte in faccia la bestialità ferina necessaria a confrontarsi con un ambiente primordiale ostile. Il fiume assume i connotati di elemento simbolico di confine tra i due mondi ed il viaggio lungo di esso sarà un doloroso percorso iniziatico nei recessi oscuri dell’inconscio, alla ricerca di quella ferocia primitiva che fa parte del nostro retaggio ancestrale. Alla sua uscita il film suscitò, nello stesso tempo, scalpore per i contenuti violenti (è rimasta celebre la scena dello stupro omosessuale subito da uno dei quattro amici) ma anche profondo interesse per la modalità di esposizione di tematiche fino ad allora poco esplorate dal cinema, al punto che molti ci videro l’iniziatore di un nuovo sottogenere (il così detto “rural gothic”). Girato con estremo realismo nei boschi tra South Carolina e Georgia, vanta una buona squadra di attori, in cui spiccano Jon Voight e Burt Reynolds, che all’epoca (senza i baffi d’ordinanza) era all’apice del suo splendore fisico e della sua popolarità. Questo ruvido cult nero appartiene a quella schiera di film inquietanti degli anni ’70, come Cane di paglia o Arancia Meccanica, che riflettono sulle radici del male, insito nella natura umana e pronto a scatenarsi in determinate condizioni. Fu candidato a tre premi Oscar (miglior film, miglior regia e miglior montaggio) ma non vinse nessuna statuetta. Memorabile la scena iniziale con il duetto musicale tra chitarra e banjo, l’unico elemento positivo di contatto tra i due mondi posti in antitesi dal film.

Voto:
voto: 4/5

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