Nell’Irlanda del Nord del 1981 i
prigionieri politici dell’IRA protestano duramente contro una legge del governo
inglese che li ha equiparati ai carcerati comuni, abolendo lo statuto speciale
a loro riservato. Il loro leader, il carismatico Bobby Sands, li guida prima
allo “sciopero della coperte” (rifiutarsi di indossare la divisa carceraria
indossando solo una coperta per coprirsi) e poi a quello dell’igiene (il
rifiuto assoluto di lavarsi e di radersi). La violenta repressione della
polizia carceraria non farà altro che inasprire l’indomita resistenza di Sands
e dei suoi fedeli, che daranno così inizio a un drammatico sciopero della fame,
che li condurrà tutti alla morte. Crudo dramma carcerario ispirato alla vera storia
di Bobby Sands, morto a soli 27 anni nel carcere di Maze, dove era detenuto
come membro attivo della resistenza paramilitare irlandese, dopo 66 giorni di
sciopero della fame. Diviso in tre atti di scioccante potenza e di crudele
bellezza, è un assalto feroce allo stomaco, ai sensi e al cuore dello
spettatore, che viene catapultato in questa realtà disumana di soprusi, di
fetore, di sangue, di lacrime, di ferite, di privazioni, di umiliazioni e di
corpi in disfacimento, usati come baluardo estremo di una dignità indomabile,
pronta a tutto pur di difendere il proprio ideale. Più che un film politico è
un film sull’uomo, sul corpo e sullo spirito. Il corpo è il territorio naturale
del cinema di McQueen, un cinema “a mano armata” che non fa sconti, nudo e lucido
nel suo mirare all’essenza, senza risparmiarci immagini scioccanti e situazioni
estreme. Il cinema di McQueen ha con il corpo umano un rapporto fisico,
viscerale, ma il suo scavare nell’interno, mostrandocene le sofferenze, le
piaghe e i tormenti, ha un mero intento spirituale. Raffigurare il dolore
fisico per cercare l’essenza delle cose, lo spirito dell’uomo, l’anima che sta
dietro alle azioni o alle scelte, anche quelle più radicali. Il realismo
efferato dei pestaggi commessi dalle guardie carcerarie ai danni dei
prigionieri politici irlandesi, le disgustose scene delle pareti delle celle
imbrattate di escrementi, lo snervante piano sequenza degli inservienti che
puliscono l’urina dai corridoi. Sono immagini di una violenza insostenibile,
raffigurate con uno stile algido, asettico, creando così un effetto straniante
che stordisce lo spettatore. Ed è su questo contrasto, tra la durezza dei
contenuti e la pulizia glaciale della forma, che il cinema di McQueen punta per
ottenere la necessaria astrazione concettuale, che consenta di andare oltre la
sgradevolezza delle immagini, sublimandosi in un messaggio, forte e chiaro, che
sappia coniugare indignazione e denuncia. Il finale struggente, con la lunga
agonia di Sands, evita ogni forma di retorica sentimentale e mira alla mistica
del dolore, alla catarsi ideologica, all’ascesi spirituale, in un momento di assoluta
valenza tragica. Straordinaria interpretazione del protagonista Michael
Fassbender, che ci regala una prova fisica ed un risalto drammatico indimenticabili.
Il lungo piano sequenza con il dialogo tra Sands e il sacerdote è il momento
più intimo e più politico del film, quello in cui i tormenti della carne cedono
momentaneamente il passo a quelli dello spirito. Premiato al Festival di Cannes
con il premio (meritatissimo) alla migliore opera prima, è un’opera scomoda,
disturbante e memorabile.
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