Il giovane Nicholas Garrigan,
fresco laureato in medicina, lascia la Scozia per l’Uganda, dove intende confrontarsi
con un’esperienza formativa dal punto di vista umano e professionale. Per una
serie di fortuite coincidenze entra nelle grazie del presidente dittatore Idi Amin Dada,
di cui diventerà medico personale, confidente ed amico. Sedotto dal suo innato
carisma, dalla sua eloquenza naturale e dal suo stile di vita opulento, il
giovane Garrigan finirà
in un meccanismo ben più grande di lui. Dopo aver scoperto la vera natura
autoritaria e sanguinaria del leader ugandese, e i tanti massacri da lui
compiuti in nome della “sicurezza nazionale”, egli dovrà fare i conti con la
sua coscienza, mettendo in forte pericolo la sua stessa vita. Tratto dall'omonimo
romanzo di Giles Foden, questo cupo dramma storico utilizza un personaggio di
fantasia, il dottor Garrigan, per raccontare le imprese nefaste, il talento
politico e la personalità esuberante di uno dei più temuti e controversi leader
africani degli anni ’70: il generale Amin, macchiatosi di
agghiaccianti crimini contro l’umanità negli otto anni in cui resse il potere
in Uganda. Lo scopo del regista, nato come documentarista e qui al suo primo
lungometraggio, è quello di analizzare nel dettaglio la natura ambigua del
“carisma”, elemento essenziale alla base del successo politico, con specifica
attinenza verso i dittatori del secolo passato, che, grazie ad esso, sono
riusciti a porre le basi del loro impero del male. In tal senso il gioco di
“seduzione” psicologica tra l’imponente leader di colore ed il giovane
aggraziato medico scozzese funge da modello emblematico del fascino sinistro che
il potere esercita sulle masse. Il punto di vista ingenuo di Garrigan è quello
del mondo occidentale che ha a lungo sottovalutato la pericolosità del despota
ugandese, con un atteggiamento di pavida acquiescenza.
Pur con qualche concessione agli inevitabili stereotipi sull’Africa, è un buon
film di attori, sorretto da una solida sceneggiatura ed abilmente confezionato
con un’estetica dal sapore anni ’70. Eccellenti le interpretazioni dei due
protagonisti: uno straordinario Forest Whitaker, che ci regala una
performance ambigua e sfaccettata di grande spessore drammatico, e la nuova
promessa del cinema britannico, James McAvoy, costretto alla sordina del suo ingombrante
partner ma a suo agio pur di fronte a tanta esuberanza. L’istrione Whitaker,
che per questo ruolo vinse tutti i premi maggiori (Oscar compreso), fa un
incredibile lavoro di cesello per apparire ora simpatico, ora colorito, ora
sgradevole, ora inquietante, lasciando sempre sottintendere la violenta ferocia
del personaggio, che ci viene poi esplicitamente svelata nel cruento finale. Il
bilanciamento tra storia e romanzo si mantiene su livelli accettabili e gli
elementi folcloristici, come gli appetiti amorosi o i tanti vezzi di Amin,
donano ulteriore spessore tragico ad un personaggio indubbiamente complesso
nella sua carica “maledetta”. Nel resto del cast risulta efficace la bella Kerry
Washington nel ruolo dell’intensa Kay, la più giovane delle mogli di Amin,
mentre appare un po’ spaesata Gillian Anderson in un personaggio di contorno
poco utile alla vicenda. Dinamico e nervoso nello stile, questo biopic
romanzato coglie nel segno nella sua costante ricerca di equilibrio tra
sobrietà e spettacolarizzazioni, e ci regala, con la sua ottica in soggettiva
(europea), un’agghiacciante istantanea di uno dei periodi più oscuri della
recente storia africana.
Voto:
Nessun commento:
Posta un commento