Sul finire degli anni ’70 il boss Michael
Corleone, ormai stanco e invecchiato, intende ritirarsi dagli “affari” di
famiglia ed intreccia un’ultima operazione finanziaria, lecita, con la banca
vaticana ed una grossa immobiliare europea. Nomina come suo erede il figlio
illegittimo di Sonny, Vincent, nato da una relazione extra coniugale e che ha
ereditato il carattere del padre: irascibile, impulsivo, violento e donnaiolo.
Ma tutto si complica quando Mary, l’adorata figlia di Michael, s’innamora
dell’affascinante cugino Vincent, creando un evidente conflitto tra sentimento
e dovere all’interno della famiglia. Michael pone così al suo “delfino” un’ardua
scelta irrevocabile: l’amore di Mary o la guida dell’impero Corleone. Intanto
misteriosi nemici del vecchio padrino emergono dall’ombra e lo trascinano, suo
malgrado, in una faida sanguinosa di sospetti, tradimenti e morte. La resa dei
conti finale avverrà a Palermo, durante la messa in scena della “Cavalleria
Rusticana” di Mascagni, in cui si esibisce l’altro figlio del boss, che ha
scelto la carriera di tenore. E il prezzo da pagare sarà molto alto. Terzo e
ultimo (?) capitolo della leggendaria saga mafiosa di Francis Ford Coppola, concepito
dal grande regista italoamericano per riscattarsi dai fallimenti economici
delle pellicole precedenti. Scritto a quattro mani con il fedele Mario Puzo, è
un film ambizioso, ridondante e diseguale, che alterna momenti di volo alto ad
altri a dir poco imbarazzanti. Diretto con il consueto grande senso del cinema
dal Maestro Coppola, è un cupo melodramma popolare carico di enfasi manierista,
che mescola, un po’ maldestramente, stereotipi criminali, intrighi politici,
connivenze occulte, tragedie familiari, complotti ecclesiastici, delitti
efferati, con spericolate connessioni romanzate ai più eclatanti fatti di
cronaca italiana della fine degli anni ‘70: dalla loggia massonica P2 al crack
del Banco Ambrosiano, fino alla sospetta morte di Papa Luciani. E’ senza dubbio
il più debole tra i capitoli della saga dei Corleone, che si trascina un po’
stancamente tra alti e bassi, verso un lungo e straordinario finale, in cui
l’autore riafferma tutta la sua abilità registica. L’intera sequenza della
“Cavalleria Rusticana” al Teatro Massimo di Palermo, che conta ben otto linee
diverse d’azione miscelate in un montaggio magistrale, vale, da sola, il prezzo
del biglietto e ci fa capire, una volta di più, perché Coppola è Coppola. Un
impetuoso crescendo barocco di romanticismo e di morte, con un estro figurativo
di fantasia superiore ed un senso tragico così solenne da virare nel
mitologico. Dopo quasi vent’anni il film vede il ritorno del cast principale
(Al Pacino, Diane Keaton, Talia Shire), con la pesante assenza di Robert Duvall
(che diede forfait per divergenze con la Paramount, innescando così la morte del suo
personaggio, Tom Hagen) e con le new
entry Andy Garcia, Eli Wallach e Sofia Coppola, figlia del regista. La Coppola dimostrerà in
questo film di essere una pessima attrice e, per fortuna, si darà alla regia
con ben altri risultati. Nel cast maschile Pacino, invecchiato oltre misura
grazie al trucco, ha il fiato corto, Garcia si merita la palma del più odioso, Wallach
dispensa graffi da vecchio leone indomabile. Le musiche di Carmine Coppola e
Nino Rota garantiscono la consueta atmosfera da sontuosa romanza drammatica. Il
film ebbe sette nomination agli Oscar 1991, ma non portò a casa nessun premio.
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