giovedì 31 marzo 2016

Dersu Uzala - Il piccolo uomo delle grandi pianure (Dersu Uzala, 1975) di Akira Kurosawa

Agli inizi del ‘900 il capitano russo Vladimir Arseniev ricorda, in flashback, i suoi due incontri con Dersu Uzala, solitario cacciatore mongolo, senza fissa dimora e di età sconosciuta, avvenuti durante i suoi lunghi viaggi nella taiga siberiana, al confine con la Manciuria, lungo il corso del fiume Ussuri. Nel primo incontro il mongolo salvò la vita al capitano e si fece apprezzare per le sue doti di acutezza, lealtà e saggezza. Nel secondo, cinque anni dopo, Uzala era molto invecchiato e aveva quasi perso la vista, divenendo così impossibilitato a cacciare. Nel tentativo di salvare il vecchio amico, Arseniev lo condusse a casa sua in città. Ma il fiero esploratore non poteva accettare d’invecchiare come un uomo comune e decise di tornare alle sue selvagge foreste, separandosi per sempre dal suo grande amico. Tratto dai due libri di viaggio del vero Vladimir K. Arseniev (“Dersu Uzala” e “Nel profondo Ussuri”), è un meraviglioso poema epico sul rapporto tra l’uomo e la natura. Denso di lirismo poetico e di mistico panteismo, è un’elegia sinfonica naturale in cui tutti gli elementi sono in assoluta armonia reciproca. Straordinario il personaggio di Dersu Uzala, un tenero omino che vive in simbiosi spirituale con la natura selvaggia, di cui è parte integrante, interpretato con incredibile immedesimazione dall’attore non professionista Maksim Munzuk. Tra poesia, etica, spiritualità e sentimento, Kurosawa realizza una formidabile ode ecologica, rigenerante per la sua capacità di volare alto, celebrando la magia degli spazi sterminati, il fascino delle terre selvagge e la grande forza dell’amicizia. Dersu Uzala è un possente film d’avventura e d’iniziazione, visivamente indimenticabile, ma è anche un inno travolgente alla solidarietà umana ed ai buoni sentimenti, nell’accezione più limpida e meno retorica del termine. E’anche il film che ha segnato il ritorno dell’autore al grande cinema, dopo un periodo di profonda crisi artistica ed umana che lo aveva condotto sull’orlo della depressione. La forza visiva con cui Kurosawa esplora gli splendidi scenari siberiani, denota uno sguardo affascinato, ricolmo di una gioia quasi infantile per come riesce a catturare i colori, i suoni e lo spirito della tundra. Quello spirito, sacro ed arcano, che ha iniziato ad abbandonare il vecchio “lupo” Uzala dopo che questi ha dovuto uccidere la tigre per salvare il capitano Arseniev, infrangendo così il suo patto panteistico con la natura e scegliendo, irreversibilmente, di appartenere al mondo degli uomini. Va citata la memorabile scena della tormenta di neve, rimasta a pieno diritto nella storia del cinema. La pellicola fu premiata con l’Oscar al miglior film straniero nel 1976 e riconfermò l’estrema vitalità artistica di un Maestro di cinema come Kurosawa, tra i più grandi in assoluto, capace di reinventarsi a 65 anni e costretto a cercare coproduzioni estere per continuare a regalarci i suoi inimitabili capolavori. Capolavori come questo enorme affresco siberiano, che ci tocca il cuore e ci ammalia ad ogni visione.

Voto:
voto: 5/5

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