Rivisitazione
in chiave “moderna” del più celebre dramma shakespeariano, con un passo deciso,
un plot narrativo più denso, una maggior risolutezza d’azione ed un principe
più mascolino e meno ambiguo, costruito appositamente per le spalle forti di
Mel Gibson. Zeffirelli si cimenta per la terza volta con il bardo inglese, dopo
Romeo e Giulietta e La bisbetica domata, e non rinuncia al
suo approccio decorativo, dove la raffinata cura del dettaglio si esplica in un
apparato formale di preziosa impaginazione estetica. Tradendo in buona parte il
testo sacro di Shakespeare, soprattutto per tagli ed omissioni più che per stravolgimenti
effettivi, il regista toscano orchestra uno spettacolo agile e potente, che
però sceglie di lavorare costantemente in superficie senza mai indugiare nello
scandaglio psicologico dei tormentati personaggi. Non mancano le trovate
effettistiche e le cadute di stile, così come le concessioni spettacolari di
matrice hollywoodiana. Ma, tutto sommato, il cast regge bene con Gibson a suo
agio in una caratterizzazione molto fisica del principe di Danimarca, e gli
esperti Alan Bates, Ian Holm, Glenn Close e la giovane Helena Bonham Carter che
fanno da sapiente contrappunto all’esplosivo protagonista. Peccato che l’oscura
malia evocativa del testo originale, nonché il suo tormentato senso di conflitto
interiore, si perdano del tutto tra le pieghe di un racconto troppo conforme ai
gusti del pubblico contemporaneo e troppo attento al senso dello spettacolo più
che all’essenza intima. In una produzione così imponente e con un cimento così
alto come l’eccelsa prosa del bardo, era lecito attendersi qualcosa di più ed
il senso di occasione perduta è difficile da mandar via. Le musiche del maestro
Morricone sono, come sempre, all’altezza della situazione.
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