martedì 8 marzo 2016

Amleto (Hamlet, 1990) di Franco Zeffirelli

Rivisitazione in chiave “moderna” del più celebre dramma shakespeariano, con un passo deciso, un plot narrativo più denso, una maggior risolutezza d’azione ed un principe più mascolino e meno ambiguo, costruito appositamente per le spalle forti di Mel Gibson. Zeffirelli si cimenta per la terza volta con il bardo inglese, dopo Romeo e Giulietta e La bisbetica domata, e non rinuncia al suo approccio decorativo, dove la raffinata cura del dettaglio si esplica in un apparato formale di preziosa impaginazione estetica. Tradendo in buona parte il testo sacro di Shakespeare, soprattutto per tagli ed omissioni più che per stravolgimenti effettivi, il regista toscano orchestra uno spettacolo agile e potente, che però sceglie di lavorare costantemente in superficie senza mai indugiare nello scandaglio psicologico dei tormentati personaggi. Non mancano le trovate effettistiche e le cadute di stile, così come le concessioni spettacolari di matrice hollywoodiana. Ma, tutto sommato, il cast regge bene con Gibson a suo agio in una caratterizzazione molto fisica del principe di Danimarca, e gli esperti Alan Bates, Ian Holm, Glenn Close e la giovane Helena Bonham Carter che fanno da sapiente contrappunto all’esplosivo protagonista. Peccato che l’oscura malia evocativa del testo originale, nonché il suo tormentato senso di conflitto interiore, si perdano del tutto tra le pieghe di un racconto troppo conforme ai gusti del pubblico contemporaneo e troppo attento al senso dello spettacolo più che all’essenza intima. In una produzione così imponente e con un cimento così alto come l’eccelsa prosa del bardo, era lecito attendersi qualcosa di più ed il senso di occasione perduta è difficile da mandar via. Le musiche del maestro Morricone sono, come sempre, all’altezza della situazione.

Voto:
voto: 3/5

Nessun commento:

Posta un commento