mercoledì 16 marzo 2016

La stazione (La stazione, 1990) di Sergio Rubini

Domenico fa il capostazione in un piccolo paese del Sud Italia. E’ un uomo semplice e metodico che trascorre le sue giornate tra attività rituali sempre uguali. Ma, in una notte di pioggia, arriva in stazione una bella bionda in abito da sera che ha litigato col fidanzato manesco. Aspettando il treno del mattino Domenico e la ragazza stabiliranno un tenero legame. Interessante esordio registico di Rubini, che adatta con garbo l’omonima pièce teatrale di Umberto Marino, di cui lui stesso è stato attore protagonista per tre anni e di cui ha confermato l’intero cast (Margherita Buy, Ennio Fantastichini). Con un approccio misurato e discreto l’autore pugliese replica abilmente le atmosfere dell’opera originale, limitandosi ad un piccolo (ma significativo) cambiamento sul finale. Il risultato è un sottile dramma psicologico sui sentimenti inespressi e sulle differenze di classe sociale, tratteggiato con lieve pudore, senza mai alzare troppo i toni o scadere nel banale sentimentalismo. L’evidente tensione, anche sessuale, che si instaura tra i due protagonisti, così diversi per ceto di appartenenza ma accomunati dal medesimo senso di solitudine esistenziale, diventa un malinconico e fugace idillio, il timido sussulto di un piccolo mondo antico che non riesce ad adattarsi alle regole del nuovo. E l’ombra del fidanzato ingombrante, sempre minacciosamente incombente, funge da zavorra rispetto ai pindarici voli del cuore. Con questo film Rubini torna idealmente alle sue radici: la Puglia, i treni, la stazione (suo padre era infatti un ferroviere). C’è patos, c’è un velato turbamento sensuale, c’è tenerezza, c’è poesia. Unica pecca evidente: i momenti comici sono meno riusciti di quelli drammatici. Bravissima la Buy, come al solito.

Voto:
voto: 3,5/5

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