Gli ultimi tre mesi di vita di Pier Paolo
Pasolini, dalla fine dell’estate 1975 alla tragica notte del 2 novembre, sul
campetto sterrato dell’idroscalo di Ostia, in cui trovò barbaramente la morte. Il
regista poeta è impegnato nel montaggio di Salò
e nella scrittura di “Petrolio”, il
romanzo di denuncia che doveva essere la summa di tutto il suo pensiero
politico e civile. Pasolini ha una relazione stabile con il “ragazzo di vita”
Pino Pelosi, detto “la rana”, ma ha già foschi presentimenti riguardo al suo
futuro. Pasolini si è già schierato, da tempo, contro quei poteri occulti, sia
economici che politici, che operano parallelamente allo stato e che agiscono
illegalmente per i propri fini, in barba a qualunque principio etico ed a
qualunque legge, con l’assoluta certezza dell’impunità. Egli li ha denunciati più volte nei suoi “scritti
corsari” dalle colonne del Corriere della Sera e gli ha persino dedicato un
romanzo inchiesta, “Petrolio”, in cui
denuncia gli sporchi giochi di potere di Eugenio Cefis, presidente dell’ENI e
fondatore occulto della loggia massonica P2, avanzando su di lui sospetti per
la misteriosa morte di Enrico Mattei. In quel periodo, nelle periferie romane,
si stava affermando la famigerata “banda della Magliana”, che aveva contatti
con Pelosi tramite alcuni suoi membri. Quando vengono rubati i negativi di Salò,
alla fine di agosto del 1975, si sta preparando l’esca con cui attirare
Pasolini in una trappola mortale. Pasolini va di moda ultimamente e,
probabilmente, se fosse ancora tra noi, questo non farebbe molto piacere ad un
noto anticonformista come lui. Il regista David Grieco è stato suo allievo, suo
attore e suo amico e si è a lungo impegnato nel tentativo di far riaprire il
caso giudiziario per far luce sul vero movente e sui veri colpevoli della
tragica morte del poeta. D’altra parte è evidente a chiunque abbia un minimo di
raziocinio che la tesi ufficiale del delitto a sfondo omosessuale commesso da
un uomo solo (Pino Pelosi) ha sempre fatto acqua da tutte le parti. Questo
film, quindi, era per Grieco quasi inevitabile, come era inevitabile che, a
interpretare Pasolini, fosse Massimo Ranieri, così somigliante nell’aspetto
all’intellettuale bolognese al punto che, secondo la leggenda, fu lui stesso a
fargli notare la cosa durante un loro incontro. Grieco realizza un film
inchiesta appassionato, lucido nell’analisi e rigoroso nella ricostruzione
storico ambientale di quel cupo periodo della storia italiana. Per realizzarlo
si è ispirato a sue indagini personali ed al controverso libro “Io so... come hanno ucciso Pasolini”,
scritto da Pino Pelosi poco dopo la sua clamorosa ritrattazione sul delitto di
cui si era sempre accusato. Ma i principali problemi di questo film sono
essenzialmente due: innanzi tutto che le presunte “rivelazioni clamorose” sulla
morte del poeta non sono affatto tali, perché la teoria del complotto ordito da
certi poteri occulti legati alle lobby energetiche, alla P2 e alla banda della
Magliana sono “vecchie”, già sentite e risentite mille volte. E lo stesso
dicasi per il furto delle bobine di Salò, usato come esca per condurre Pasolini
in un trappola, teoria già sostenuta da Sergio Citti e da Laura Betti. Quindi,
dal punto di vista dell’inchiesta (presunto cavallo di battaglia usato nella
presentazione), questo film di Grieco nulla aggiunge agli scenari ipotetici già
(arci)noti. L’unico elemento di reale novità è costituito dall’ipotesi che
Pasolini frequentasse già da tempo, come suo amante, il Pelosi, rispetto alla
tesi ufficiale secondo cui i due si erano conosciuti nell’ultima notte di vita
dello scrittore, in seguito ad un “rimorchiaggio” di natura omosessuale. Il
secondo punto negativo della pellicola è l’interpretazione di Massimo Ranieri,
che si limita alla semplice somiglianza fisica ma che, per il resto, non ha
niente a che vedere con i modi, i gesti e la parlata di Pasolini. La sua
performance appare poco convincente e l’estrema riconoscibilità del suo timbro
vocale peggiora le cose, come capita spesso quando un personaggio famoso
interpreta un altro personaggio famoso, impedendo che il transfert di personalità possa avvenire. Dal
punto di vista strettamente cinematografico il film è girato con mestiere, le
atmosfere sono quelle giuste, anche se non si evitano i cliché. Sono infatti presenti
tutti, ma proprio tutti, gli elementi tipici dell’iconografia pasoliniana: la
macchina da scrivere, gli occhiali, l’alfa GT, le borgate romane, le partite a
pallone sui campetti sterrati di periferia, il Biondo Tevere, le notti
trasgressive, il dolce rapporto con la madre. Fatta salva la buona fede di Grieco
ed evitando di pensare che questa sia solo una bieca operazione commerciale,
sfruttando l’enfasi dell’anniversario della morte del poeta, possiamo
concludere che questo nuovo film sulla sua figura, pur ammirevole nelle
intenzioni, sia, tutto sommato, inutile, se non per l’emozione di poter “rivivere”,
ancora una volta, quei tragici giorni, in cui la figura illuminata e illuminante
di PPP era ancora tra noi. Splendido il commento musicale dei Pink Floyd. La scena finale dell'efferato omicidio, ricostruita con impressionante realismo, è quella migliore, invece convincono poco gli inserti visionari relativi alle intuizioni "profetiche" del grande intellettuale scomparso.
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