venerdì 25 marzo 2016

La macchinazione (La macchinazione, 2016) di David Grieco

Gli ultimi tre mesi di vita di Pier Paolo Pasolini, dalla fine dell’estate 1975 alla tragica notte del 2 novembre, sul campetto sterrato dell’idroscalo di Ostia, in cui trovò barbaramente la morte. Il regista poeta è impegnato nel montaggio di Salò e nella scrittura di “Petrolio”, il romanzo di denuncia che doveva essere la summa di tutto il suo pensiero politico e civile. Pasolini ha una relazione stabile con il “ragazzo di vita” Pino Pelosi, detto “la rana”, ma ha già foschi presentimenti riguardo al suo futuro. Pasolini si è già schierato, da tempo, contro quei poteri occulti, sia economici che politici, che operano parallelamente allo stato e che agiscono illegalmente per i propri fini, in barba a qualunque principio etico ed a qualunque legge, con l’assoluta certezza dell’impunità. Egli  li ha denunciati più volte nei suoi “scritti corsari” dalle colonne del Corriere della Sera e gli ha persino dedicato un romanzo inchiesta, “Petrolio”, in cui denuncia gli sporchi giochi di potere di Eugenio Cefis, presidente dell’ENI e fondatore occulto della loggia massonica P2, avanzando su di lui sospetti per la misteriosa morte di Enrico Mattei. In quel periodo, nelle periferie romane, si stava affermando la famigerata “banda della Magliana”, che aveva contatti con Pelosi tramite alcuni suoi membri. Quando vengono rubati i negativi di Salò, alla fine di agosto del 1975, si sta preparando l’esca con cui attirare Pasolini in una trappola mortale. Pasolini va di moda ultimamente e, probabilmente, se fosse ancora tra noi, questo non farebbe molto piacere ad un noto anticonformista come lui. Il regista David Grieco è stato suo allievo, suo attore e suo amico e si è a lungo impegnato nel tentativo di far riaprire il caso giudiziario per far luce sul vero movente e sui veri colpevoli della tragica morte del poeta. D’altra parte è evidente a chiunque abbia un minimo di raziocinio che la tesi ufficiale del delitto a sfondo omosessuale commesso da un uomo solo (Pino Pelosi) ha sempre fatto acqua da tutte le parti. Questo film, quindi, era per Grieco quasi inevitabile, come era inevitabile che, a interpretare Pasolini, fosse Massimo Ranieri, così somigliante nell’aspetto all’intellettuale bolognese al punto che, secondo la leggenda, fu lui stesso a fargli notare la cosa durante un loro incontro. Grieco realizza un film inchiesta appassionato, lucido nell’analisi e rigoroso nella ricostruzione storico ambientale di quel cupo periodo della storia italiana. Per realizzarlo si è ispirato a sue indagini personali ed al controverso libro “Io so... come hanno ucciso Pasolini”, scritto da Pino Pelosi poco dopo la sua clamorosa ritrattazione sul delitto di cui si era sempre accusato. Ma i principali problemi di questo film sono essenzialmente due: innanzi tutto che le presunte “rivelazioni clamorose” sulla morte del poeta non sono affatto tali, perché la teoria del complotto ordito da certi poteri occulti legati alle lobby energetiche, alla P2 e alla banda della Magliana sono “vecchie”, già sentite e risentite mille volte. E lo stesso dicasi per il furto delle bobine di Salò, usato come esca per condurre Pasolini in un trappola, teoria già sostenuta da Sergio Citti e da Laura Betti. Quindi, dal punto di vista dell’inchiesta (presunto cavallo di battaglia usato nella presentazione), questo film di Grieco nulla aggiunge agli scenari ipotetici già (arci)noti. L’unico elemento di reale novità è costituito dall’ipotesi che Pasolini frequentasse già da tempo, come suo amante, il Pelosi, rispetto alla tesi ufficiale secondo cui i due si erano conosciuti nell’ultima notte di vita dello scrittore, in seguito ad un “rimorchiaggio” di natura omosessuale. Il secondo punto negativo della pellicola è l’interpretazione di Massimo Ranieri, che si limita alla semplice somiglianza fisica ma che, per il resto, non ha niente a che vedere con i modi, i gesti e la parlata di Pasolini. La sua performance appare poco convincente e l’estrema riconoscibilità del suo timbro vocale peggiora le cose, come capita spesso quando un personaggio famoso interpreta un altro personaggio famoso, impedendo che il  transfert di personalità possa avvenire. Dal punto di vista strettamente cinematografico il film è girato con mestiere, le atmosfere sono quelle giuste, anche se non si evitano i cliché. Sono infatti presenti tutti, ma proprio tutti, gli elementi tipici dell’iconografia pasoliniana: la macchina da scrivere, gli occhiali, l’alfa GT, le borgate romane, le partite a pallone sui campetti sterrati di periferia, il Biondo Tevere, le notti trasgressive, il dolce rapporto con la madre. Fatta salva la buona fede di Grieco ed evitando di pensare che questa sia solo una bieca operazione commerciale, sfruttando l’enfasi dell’anniversario della morte del poeta, possiamo concludere che questo nuovo film sulla sua figura, pur ammirevole nelle intenzioni, sia, tutto sommato, inutile, se non per l’emozione di poter “rivivere”, ancora una volta, quei tragici giorni, in cui la figura illuminata e illuminante di PPP era ancora tra noi. Splendido il commento musicale dei Pink Floyd. La scena finale dell'efferato omicidio, ricostruita con impressionante realismo, è quella migliore, invece convincono poco gli inserti visionari relativi alle intuizioni "profetiche" del grande intellettuale scomparso.

Voto:
voto: 3/5

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