martedì 22 marzo 2016

Unbreakable - Il predestinato (Unbreakable, 2000) di M. Night Shyamalan

David Dunn è l’unico superstite di un terribile disastro ferroviario che ha provocato 125 morti, mentre lui è uscito totalmente illeso. Elijah Price è un patito dei fumetti, affetto da una rara malattia alle ossa che lo rende un “uomo di vetro” per la facilità con cui si provoca fratture. Costretto su una sedia a rotelle dalla sua patologia, Elijah legge di David sul giornale e, dopo aver scoperto che questi è scampato più di una volta a diversi incidenti, si convince che sia il suo esatto contrario, una sorta di super eroe indistruttibile. Il bizzarro Elijah contatta David e cerca di convincerlo della veridicità delle sue teorie, per fargli prendere coscienza del suo potere. Ma non tutto è come sembra. Thriller rarefatto di Shyamalan che ammicca alle atmosfere soprannaturali del suo precedente enorme successo, il sopravvalutato Il sesto senso, ma si concede il lusso di un film più filosofico, più ambizioso e più visionario, che intende dar voce a una delle domande ataviche che da sempre accompagnano la cultura popolare dei fumetti, ossia la vera identità degli eroi: chi era realmente Superman prima di rendersi conto dei suoi enormi poteri. La ricerca dell’ordinario nello straordinario, di una base comune semplice nel più incredibile dei fenomeni, è l’oggetto di indagine speculativa di questo film lento, sfuggente, a tratti prolisso, spesso incerto nel suo continuo oscillare tra materiale e mistico. L’idea dei due personaggi che il destino ha collocato ai poli opposti dell’abilità fisica è sicuramente interessante, specie se intesa in un’ottica fumettistica (l’eroe e la sua nemesi), ma, come al solito, il regista indiano finisce per strafare con la sua tronfia supponenza intellettuale e si perde tra le pieghe astratte dei suoi stessi sofismi autoreferenziali. La consueta ricerca effettistica del finale a sorpresa, secondo uno schema ormai programmatico che finisce, quindi, per non stupire più, nuoce all’impianto narrativo perché ne sospende la tensione emotiva fino allo spasimo, finendo per ridurre, inevitabilmente, la portata del colpo di scena. Nonostante le evidenti lacune ed il suo manierismo esasperato l’opera ha molti ammiratori, che la collocano tra le migliori in assoluto dell’autore. Nel cast lo scontro recitativo tra giganti, Bruce Willis versus Samuel L. Jackson, viene stravinto dal secondo che ci regala una performance sfavillante di fronte al più imbalsamato collega, ancora una volta “duro a morire” per esigenze di copione. Il cinema di Shyamalan ruota sempre intorno al medesimo rigido schema: vanitose favole oscure che cercano di suscitare una sottile inquietudine psicologica, lentissime nel ritmo, ovattate nella forma, in attesa del colpo di mano finale che ribalterà tutto. Non che questo sia necessariamente un problema ma, se mancano le buone idee e la capacità di metterle in pratica, la continua copia di sé stesso non può che produrre una noia mortale.

La frase:Quanti giorni della tua vita sei stato malato?

Voto:
voto: 3/5

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