David Dunn è l’unico superstite di un
terribile disastro ferroviario che ha provocato 125 morti, mentre lui è uscito
totalmente illeso. Elijah Price è un patito dei fumetti, affetto da una rara
malattia alle ossa che lo rende un “uomo di vetro” per la facilità con cui si
provoca fratture. Costretto su una sedia a rotelle dalla sua patologia, Elijah
legge di David sul giornale e, dopo aver scoperto che questi è scampato più di
una volta a diversi incidenti, si convince che sia il suo esatto contrario, una
sorta di super eroe indistruttibile. Il bizzarro Elijah contatta David e cerca
di convincerlo della veridicità delle sue teorie, per fargli prendere coscienza
del suo potere. Ma non tutto è come sembra. Thriller rarefatto di Shyamalan che
ammicca alle atmosfere soprannaturali del suo precedente enorme successo, il
sopravvalutato Il
sesto senso, ma si concede il lusso di un film più filosofico, più
ambizioso e più visionario, che intende dar voce a una delle domande ataviche
che da sempre accompagnano la cultura popolare dei fumetti, ossia la vera
identità degli eroi: chi era realmente Superman prima di rendersi conto dei
suoi enormi poteri. La ricerca dell’ordinario nello straordinario, di una base
comune semplice nel più incredibile dei fenomeni, è l’oggetto di indagine
speculativa di questo film lento, sfuggente, a tratti prolisso, spesso incerto
nel suo continuo oscillare tra materiale e mistico. L’idea dei due personaggi
che il destino ha collocato ai poli opposti dell’abilità fisica è sicuramente
interessante, specie se intesa in un’ottica fumettistica (l’eroe e la sua
nemesi), ma, come al solito, il regista indiano finisce per strafare con la sua
tronfia supponenza intellettuale e si perde tra le pieghe astratte dei suoi
stessi sofismi autoreferenziali. La consueta ricerca effettistica del finale a
sorpresa, secondo uno schema ormai programmatico che finisce, quindi, per non
stupire più, nuoce all’impianto narrativo perché ne sospende la tensione
emotiva fino allo spasimo, finendo per ridurre, inevitabilmente, la portata del
colpo di scena. Nonostante le evidenti lacune ed il suo manierismo esasperato
l’opera ha molti ammiratori, che la collocano tra le migliori in assoluto
dell’autore. Nel cast lo scontro recitativo tra giganti, Bruce Willis versus Samuel L. Jackson, viene
stravinto dal secondo che ci regala una performance sfavillante di fronte al
più imbalsamato collega, ancora una volta “duro a morire” per esigenze di
copione. Il cinema di Shyamalan ruota sempre intorno al medesimo rigido schema:
vanitose favole oscure che cercano di suscitare una sottile inquietudine
psicologica, lentissime nel ritmo, ovattate nella forma, in attesa del colpo di
mano finale che ribalterà tutto. Non che questo sia necessariamente un problema
ma, se mancano le buone idee e la capacità di metterle in pratica, la continua
copia di sé stesso non può che produrre una noia mortale.
La frase: “Quanti
giorni della tua vita sei stato malato?”
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