Bill Lee è un aspirante scrittore
tossicomane di New York, che si occupa di disinfestazioni di ratti e di scarafaggi.
In preda a mostruose allucinazioni cade in una specie di vita parallela in cui
uccide per sbaglio la moglie dopo un tragico gioco al tiro a segno, vede la sua
macchina da scrivere trasformarsi in uno scarafaggio parlante, incontra un
essere repellente di natura aliena gli ordina di recarsi a Tangeri per
raggiungere la misteriosa “Interzona”, conosce un altro scrittore la cui moglie
è identica alla sua. Perso in un mondo d’incubo Bill non riesce più a
distinguere la realtà dalle visioni. Straordinario capolavoro visionario di Cronenberg,
che riesce a tradurre in immagini, potenti e disturbanti, il controverso
romanzo omonimo di William S. Burroughs, da tutti ritenuto infilmabile (e da alcuni
anche illeggibile). E’ il film più complesso, ambizioso e radicale del regista
canadese che ci catapulta, attraverso un labirinto di sequenze deliranti e
paranoiche, nell’essenza stessa dell’immaginazione, cercando il cuore oscuro
del processo creativo con cui un artista (in questo caso uno scrittore) si
estranea dalla realtà e “naviga” in un universo alieno dove gli incubi assumono
la forma angosciante di simboli arcani. Il senso più recondito di quest’opera
astratta è nel teorizzare le fondamenta di una creazione come inevitabilmente
legata alla distruzione, con conseguente disgregazione dell’io cognitivo che ne
rappresenta il soggetto primario. L’incontro artistico tra Cronenberg e Burroughs
appariva quasi ineluttabile e, probabilmente, nessun altro regista avrebbe
potuto portare sul grande schermo le opere dell’innovativo romanziere americano.
Ispirandosi liberamente anche ad altri suoi racconti, nonché a fatti reali della
vita dello scrittore del Missouri (come l’omicidio accidentale della moglie e
il viaggio a Tangeri), Cronenberg ha prodotto un geniale distillato di tutte le
sue personali ossessioni: la forza allucinatoria della mente, le mutazioni
aberranti, il potere castrante della donna, l’esibizione della sessualità come
“malattia”, i viaggi cerebrali sotto l’effetto di stupefacenti, i traumi
devastanti. In questo magistrale caleidoscopio di metafore astratte, il regista
abbatte tutte le barriere, non solo quella, classica, tra realtà e finzione, ma
anche quelle tra i generi cinematografici per un film-summa che li attraversa tutti: avventura, spionaggio, parodia
politica, ironia surreale, fantasy, iperbole grottesca, horror gotico,
fantascienza. Straordinari gli effetti speciali “artigianali” in cui Cronenberg
dà fondo a tutta la sua esuberanza visionaria, dando forma concreta ai dedali
di una mente disturbata. Splendida la colonna sonora del fidato Howard Shore,
con stranianti suggestioni jazz. Bravissimi anche gli attori principali: Peter
Weller (nel ruolo della sua vita), Judy Davis e Ian Holm. Lo stesso Burroughs
ha “spiegato” il significato dell’espressione “pasto nudo” nell’introduzione
del suo libro, definendolo come “l'attimo
congelato in cui ciascuno si rende conto di ciò che si trova sulla punta di
ogni forchetta”. Più che un film è un’esperienza alienante, un viaggio
lisergico di possente malia simbolica, da compiere almeno una volta nella vita.
Il pubblico mainstream stia pure alla
larga.
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