Nell’Unione Sovietica della perestrojka un sanguinario serial killer
stuprò, uccise e divorò 55 vittime innocenti, in maggioranza bambini e
adolescenti di sesso sia femminile che maschile. Inafferrabile e sistematico,
anche grazie alla copertura garantitagli dal KGB per la sua indomita fedeltà al
vecchio modello comunista messo in discussione dai fremiti liberali che
percorrevano il paese grazie all’opera di Gorbacëv, il “mostro di Rostov”
terrorizzò il paese per ben 12 anni, tra il 1978 e il 1990. Sarà catturato da
un tenace poliziotto, che gli diede la caccia per anni, ossessionato dal caso,
e verrà giustiziato nel 1992. Dal libro “Il
comunista che mangiava i bambini”, scritto dallo stesso regista, David
Grieco ha tratto un film inchiesta scioccante, ispirato ai veri orripilanti
crimini commessi da Andrej Romanovic Cikatilo (qui ribattezzato come Andrej
Romanovic Evilenko), il più feroce serial killer del ‘900. Enormemente
appassionato al caso, l’autore romano mette in scena un thriller algido,
costruito sul meccanismo della caccia all’uomo, che cerca di delineare la
psicologia malata dell’orco protagonista evitando accuratamente, per ovvi
motivi, di mostrare esplicitamente i suoi nefandi crimini. La scelta estetica di
rinunciare ad ogni indulgenza splatter ma di lasciare sempre fuori fuoco le
scene cruente, testimonia la mancanza di morbosità dell’opera e la colloca in
un posizione più alta rispetto al prodotto di genere per stomaci forti. D’altra
parte la tematica, i dialoghi e i contenuti sono così agghiaccianti e
orripilanti che bastano e avanzano per scioccare lo spettatore. I punti di
forza del film sono, senza dubbio, l’interpretazione terrificante di Malcolm
McDowell, che 33 anni dopo Arancia
Meccanica dimostra ancora di possedere un incredibile talento
nell’impersonare con credibilità un violento psicopatico, e l’interessante
correlazione tra schizofrenia e politica. L’affascinante teoria del regista è
che il disfacimento dei dogmi comunisti, avviato dalla perestrojka, ed il conseguente senso di smarrimento nazionale
causato dalla perdita di un’identità politica collettiva, abbia generato dei
“mostri”, ovvero degli individui mentalmente disturbati, sociopatici e
pericolosi, pronti ad esprimere il proprio senso di sfacelo interiore
attraverso nefande azioni di follia omicida. In tal senso il destino del già
disturbato Evilenko (che già quand’era insegnante cercò di violentare una
bambina a scuola) viene associato a quello di un intero popolo deluso da un
regime che lo ha illuso per anni con slogan di grandezza per poi implodere
miseramente su se stesso, dimostrando il fallimento del suo fanatismo
ideologico. Peccato però che questi punti a favore vengano poi mortificati da
alcune scelte di sceneggiatura francamente poco plausibili come l’ostentazione
esagerata del potere ipnotico di Evilenko o la grottesca scena
dell’interrogatorio “senza veli”, che suscita il ridicolo involontario. Anche
la pavida decisione di approfondire poco il sinistro legame di connivenza tra
il killer ed il KGB è un punto a sfavore non da poco. Facendo scelte diverse
avrebbe potuto essere uno dei migliori film dedicati ad un assassino seriale.
Peccato.
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