giovedì 31 marzo 2016

L'idiota (Hakuchi, 1951) di Akira Kurosawa

Kameda è un puro di cuore, un inetto che si disinteressa al denaro e alla ricchezza. Soffre di un grave disturbo psichico (demenza epilettica), provocato da uno shock subito durante la guerra, quando fu condotto, per errore, davanti al plotone d’esecuzione, per poi essere salvato all’ultimo momento. Akama è un uomo violento e immorale, che conosce Kameda durante un viaggio ad Hokkaido. I due uomini s’innamoreranno della stessa donna, la bella Taeko, e la cosa avrà conseguenze tragiche. Straordinaria trasposizione di Kurosawa di uno dei capolavori assoluti della letteratura mondiale, “L'idiota” di Fëdor Dostoevskij, lo scrittore più amato dal grande regista giapponese. Kurosawa sposta l’azione del romanzo dalla Russia aristocratica di fine ‘800 al nord del Giappone del primo dopoguerra, scegliendo come ambientazione la ricca borghesia mercantile. Come nel libro i due protagonisti maschili, egregiamente interpretati da Masayuki Mori e Toshiro Mifune, incarnano il tema del “doppio”, moderni Caino e Abele, due facce diverse della follia. La follia bonaria di Kameda e quella crudele di Akama. Il regista intendeva realizzare un film di quattro ore e mezza diviso in due parti, ma le lunghe divergenze con la produzione lo costrinsero ad un unico film ridotto a due ore e quarantacinque minuti. Purtroppo i tagli imposti dalla casa produttrice Shochiku sono andati perduti per sempre. Alla sua uscita fu un fiasco clamoroso, stroncato da tutta la critica giapponese, per essere poi rivalutato, qualche anno dopo, in seguito alla vittoria del Leone d’Oro al Festival del Cinema di Venezia di Rashomon. L’adesione di Kurosawa al testo (sacro) di Dostoevskij, se apparentemente infedele nella forma, è addirittura pedissequa nello spirito dell’opera, riprodotto con rigore maniacale nel profondo scavo psicologico dei personaggi, nella verbosità plateale, nella tragica solennità, nelle atmosfere austere accentuate dalle musiche di Fumio Hayasaka. Lo sfasamento geografico, temporale e sociale, causato dalle modifiche apportate dal regista alle ambientazioni della vicenda, produce un meraviglioso effetto straniante che trova il massimo tripudio artistico nelle scene nevose sui ghiacci di Sapporo. In questo scenario candido, asettico, che simboleggia la purezza di spirito di Kameda, il film assume un tono onirico, allucinato, simbolicamente agghiacciante. E la tragedia che si compie nella memorabile sequenza finale diventa di altezza universale, assoluta, irreversibile. Kurosawa ricrea il capolavoro di Dostoevskij, rispettandone l’anima ma rivestendone la forma di nuova linfa, di puro genio visionario, di vibrante intensità drammatica. E’ uno dei rari casi di adattamento letterario fedele ma autonomo. Il grande regista russo Tarkovskij rese un esplicito omaggio a questo film dicendo:  adoro Dostoevskij, ma non filmerò mai L'idiota dopo Kurosawa”.

Voto:
voto: 5/5

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