Un proiezionista cinematografico, assiduo
lettore di libri gialli, viene accusato ingiustamente del furto di un orologio
da un rivale in amore che intende svilirlo agli occhi della ragazza contesa.
Deluso e frustrato l’uomo si addormenta mentre è al lavoro, in cabina di
proiezione, e sogna di entrare nello schermo, mescolandosi con i personaggi del
film. In questa realtà alternativa egli diventa un nuovo Sherlock Holmes, un
grande detective capace di risolvere un complesso caso di furto. Capolavoro
assoluto del cinema muto, è il più grande film di Buster Keaton, clown triste,
straordinario “folletto” dalle incredibili capacità fisiche e mimiche, spesso
oscurato dal suo più famoso “rivale” Charlie Chaplin. Questa pietra miliare del
cinema delle origini è una delle più audaci e geniali riflessioni sulla settima
arte e sui suoi meccanismi. Fa coincidere cinema e sogno e, al contempo,
celebra il cinema come sogno, glorificandone la magia ed il potere. Keaton,
come tutti i geni inconsapevoli, non poteva certo sapere di aver inventato, con
quest’opera surreale di alto spessore simbolico, il metacinema, influenzando
fortemente tanti autori a venire. Questa esplorazione d’avanguardia del
rapporto tra realtà e finzione si avvale di effetti speciali straordinari per
le tecniche dell’epoca, come nella famosa scena in cui Keaton/Sherlock entra
nello schermo e si ritrova immerso nella dimensione del film proiettato in sala,
rimbalzando tra le inquadrature. La sequenza dello sdoppiamento onirico del protagonista
nella sua proiezione astratta ideale (Sherlock) è uno dei momenti fondanti
della storia cinematografica, con evidenti implicazioni rivoluzionarie rispetto
al flusso della narrazione tradizionale, che qui viene scomposto in un
ulteriore livello diegetico, in un gioco di scatole cinesi. Questo nuovo
approccio concettuale portato da Keaton nel cinema è equivalente, e parimenti
essenziale dal punto di vista artistico e culturale, a quello prodotto da Luigi
Pirandello nel teatro e nella letteratura. Le relazioni sono più che evidenti:
la sovrapposizione tra personaggio e persona fino alla perdita di ruolo, e di
senso, lo sfasamento del piano di percezione, il relativismo del punto di
vista, l’elemento onirico come universo di materializzazione dei propri bisogni
inconsci. Altri aspetti fondamentali di questo capolavoro (ma di tutto il
cinema di Keaton) sono il rapporto con lo spazio e con la macchina da presa. Lo
spazio è l’ambiente in cui e con cui l’autore agisce ed è visto come una realtà
dinamica, in divenire, destrutturata per poi essere diversamente ricomposta a
seconda dell’esigenza scenica, capace di adattarsi e di seguire i movimenti
funambolici del suo corpo. Anche la macchina da presa ha un rapporto simbiotico
con Keaton, è un oggetto magico capace di generare sogni, arte e vita,
sovrapponendosi al suo cine-occhio. Nel cinema di Keaton corpo e macchina si
fondono in un equilibrio perfetto, attraverso le memorabili gag slapstick egli
modella l’ambiente circostante piegandolo alla sua comicità “nuda” quasi a
formare un unico corpo. Un corpo filmico che ne La palla n° 13 viene oniricamente duplicato, sfasandolo su un
ulteriore piano di percezione scenico posto fuori tempo rispetto a quello
originale. Questa rottura delle sequenze logiche e della tradizionale sintassi
narrativa è pura genialità visionaria. Il processo creativo dell’autore mette
continuamente in discussione le certezze dello spettatore, finendo per
spiazzarlo del tutto nel magnifico finale: il proiezionista corteggia la sua
amata mentre spia sul grande schermo i personaggi di Hearts and Pearls, in un gioco di campo e controcampo che si
conclude con il suo sguardo triste in macchina, rivolto verso di noi. Con
questo sberleffo surreale egli attua una demistificazione del più antico dogma
hollywoodiano: il lieto fine. Ancora oggi quest’opera monumentale, di cui
esistono almeno due versioni, una di 45 e l’altra di 61 minuti, è oggetto di
studio da parte di critici, studiosi e appassionati di cinema. In Italia doveva
uscire con il titolo Calma signori miei
che venne poi sostituito dai distributori con quello attuale. Woody Allen ha
espressamente citato questo capolavoro ne La
rosa purpurea del Cairo (1985).
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