Nel
1947 a
Cipro migliaia di profughi ebrei scampati ai lager nazisti premono per
raggiungere la
Palestina. Tra lungaggini burocratiche (l’acceso dibattito in
seno alle Nazioni Unite) e pressioni politiche (gli arabi si opponevano allo
sbarco degli ebrei nei territori che da millenni rivendicavano come di loro appartenenza),
la situazione non arriva ad una soluzione chiara, fino a quando un manipolo di
seicento ardimentosi, attraverso un drammatico sciopero della fame, ottiene il
permesso di aggirare il blocco anglo-arabo e s’imbarca sulla nave “Exodus” in
direzione Palestina. Imponente dramma storico di Preminger, tratto dal romanzo
di Leon Uris (ispirato ad eventi reali) e sceneggiato da Dalton Trumbo. Il
risultato è un kolossal romanzato con troppe indulgenze didascaliche sulla
nascita (controversa) dello stato d’Israele, un momento cruciale della storia
moderna i cui effetti (per molti versi tragici) ancora insanguinano i territori
palestinesi ma anche le strade dell’occidente capitalistico per le infami
azioni dei terroristi islamici. Nonostante una confezione tecnica di prim’ordine,
una ricostruzione storico ambientale sopraffina ed un cast internazionale di
grande spessore (Paul Newman, Eva Marie Saint, Ralph Richardson, Peter Lawford,
Lee J. Cobb e Sal Mineo), i limiti del film risiedono nella parzialità del
racconto storico (chiaramente sbilanciato dalla parte ebraica) e nella
superficialità con cui viene affrontata la questione palestinese dal punto di
vista arabo. In tal senso è un film profondamente americano, nell’accezione più
negativa dell’aggettivo. Da salvare le belle musiche di Ernest Gold (premiate
con l’Oscar) e alcune sequenze di grande impatto come l’interrogatorio del
personaggio di Mineo da parte dei militari sionisti. Anche il divo Newman
appare poco credibile (e poco a suo agio) nel ruolo di un profugo ebreo.
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