Tae-suk è un giovane senza fissa dimora che gira a bordo della sua motocicletta portando sempre con sé una mazza da golf (di nome "ferro 3") e si introduce nella case altrui quando i proprietari sono assenti. Tae-suk non ruba mai nulla, trascorre solo la notte nell'appartamento di turno e si prende anche la briga di riordinare prima di andar via. Un giorno incontra, in una delle case da lui visitate, Sun-hwa, moglie infelice trascurata dal marito, e tra i due scocca una scintilla. La donna decide di seguirlo nella sua vita da vagabondo fino a quando Tae-suk finisce in prigione. Ipnotico dramma etereo di Kim Ki-Duk, astratto e magico, quasi trasparente nella sua illuminata lievezza che tende alla poesia attraverso il silenzio e l'assenza. Assenza di dialoghi, di spiegazioni, di motivazioni, assenza di sequenze inutili, perché tutto contribuisce al luminoso quadro d'insieme che parla ai nostri sensi più che alla nostra mente. I due splendidi protagonisti, figure angeliche portatrici di una imperscrutabile dannazione, sembrano quasi danzare nel limbo sospeso tradotto splendidamente in immagini dal regista. Sono due alieni, due pazzi e due eroi, che si guardano, si sfiorano, si cercano, si desiderano, ma non parlano mai (caso quasi unico nella storia del cinema sonoro). In questa elegia surreale stilisticamente sopraffina tutto è negato, tutto è misterioso, tutto è invisibile, persino la violenza tipica del regista, comunque presente a livello simbolico, è affidata alla sfera subliminale, come gran parte delle emozioni veicolate dal film. Anche il finale, spiazzante ed enigmatico, è memorabile, in perfetta armonia con lo spirito dell'opera. Capolavoro o vacuo esercizio di stile ? In tanti se lo sono chiesti ma la giuria del Festival del Cinema di Venezia non ha avuto dubbi, assegnando a Kim Ki-Duk il (meritato) premio alla regia. Più che un film è un'esperienza indimenticabile, serena, pacata e inafferrabile, una grande metafora onirica sul cinema, sul dolore, sulla solitudine, sul non senso della vita, sulla ricerca di sé oltre sé, sulla bellezza del gesto, sulla perfezione del silenzio, sulla poesia del quotidiano. Leggibile a infiniti livelli di interpretazione (ma non è certo questo l'approccio giusto per apprezzare la pellicola), è come un lungo sogno sublime da vivere tutto d'un fiato, con gli occhi rigorosamente aperti chiusi.
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