Tokyo,
fine anni ’50: Wataru Hirayama, direttore d’azienda e padre autoritario si
preoccupa per il futuro delle sue due figlie che vede già in età da marito.
Uomo affabile e saggio nei rapporti di amicizia, Hirayama è un riferimento per
parenti e conoscenti che gli chiedono spesso consigli sulla situazione
sentimentale dei propri figli, in una società che sta rapidamente cambiando,
abbracciando mentalità più aperte sempre meno favorevoli ai matrimoni imposti
dalla famiglia e con una maggiore attenzione ai sentimenti dei diretti
interessati. Ogni volta che viene interrogato per un parere su codeste
questioni, il nostro dispensa sempre opinioni orientate al nuovo modello
liberale dei costumi, schierandosi dalla parte dei giovani che hanno il diritto
di scegliersi il proprio partner senza costrizioni di sorta. Ma quando un umile
impiegato si reca da lui per chiedere la mano della sua prima figlia Setsuko,
l’uomo avrà una reazione molto diversa e, sospettoso nei confronti dell’uomo
che a prima vista non gli piace, opporrà un secco rifiuto, nonostante la
volontà della ragazza di convolare a nozze con il suo amato. La famiglia di Hirayama
piomba nello sconforto e nel caos, visto che anche la madre appoggia il volere
di Setsuko, e, stavolta, gli amici dovranno intervenire in senso contrario per
ricambiare i consigli tolleranti di cui avevano beneficiato in passato. Primo
film a colori di Ozu, tratto dal romanzo omonimo di Ton Satomi. E’ una sottile
commedia drammatica in cadenze leggere, sospesa tra contemplazione e ironia,
che utilizza la contraddittoria figura del padre come simbolo di un paese, il
Giappone, in bilico tra tradizioni arcaiche e influenze di modernità
provenienti dall’Occidente. L’analisi sociale è bonaria e rigorosa al tempo
stesso, grazie alla collaudata maestria registica dell’autore che sperimenta,
per la prima volta, l’uso dei colori con parsimonia creativa, mettendo spesso
in contrasto vividi “schizzi” di rosso alle tinte sfumate degli ambienti
interni. Il conflitto tradizione-modernità, che è il tema centrale dell’opera,
è posto come crocevia cruciale del Giappone del futuro, un problema complesso
di natura culturale, sociale, morale, storico e di costume, da affrontare senza
ipocrisie o timori di sorta. Ed è proprio questo l’intento di questo capolavoro
sospeso tra melodramma e satira, esteticamente sontuoso nella sua ripetitività
geometrica, parco nei toni e trattenuto nelle passioni (che sono evidenti ma
restano “sotterranee”), parsimonioso nell’analisi dei temi, delicato nel flusso
narrativo ma perentorio nelle conclusioni, in cui Ozu si schiera, apertamente,
dalla parte del liberismo, del rinnovamento e dei giovani, che sono il futuro
del Giappone e del mondo. Pur entrando in punta di piedi e con il dovuto rispetto
nelle case delle famiglie giapponesi da poco uscite dall’inferno della guerra,
avviate verso una incoraggiante ripresa economica e indecise rispetto alla
tentazione della modernità che arriva da ovest, lo sguardo umanista dell’autore,
pur non nascondendo la nostalgia per un vecchio mondo che sta finendo, indica
chiaramente il cambiamento come unica direzione possibile, a patto di
utilizzare una saggia moderazione. Il titolo si riferisce ad una pianta (Amaryllis
Belladonna) che, in prossimità dell’equinozio d’autunno, fa sbocciare i suoi
fiori che possono essere bianchi o rossi a seconda delle annate.
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