mercoledì 7 giugno 2017

La strada della vergogna (Akasen chitai, 1956) di Kenji Mizoguchi

Tokyo, 1950: nel quartiere “a luci rosse” di Yoshiwara cinque donne si prostituiscono in una nota casa di tolleranza. Ciascuna di loro ha una storia diversa alle spalle ed è spinta da motivazioni differenti a lavorare come schiava di piacere. Yumeku vuole offrire un futuro migliore al figlio da cui è stata allontanata e con cui spera di ritornare a vivere un giorno. Yorie è in attesa di sposarsi ma non è sicura  delle reali intenzioni dell’uomo che ama e teme di poter finire in una situazione ancora peggiore in caso di un suo rifiuto. Hanae ha una famiglia disastrata da mantenere con un bimbo piccolo e un marito indolente, disoccupato e depresso cronico. Mickey  è scappata da una squallida realtà provinciale in cerca di fortuna nella capitale e la scelta di vendere il suo corpo è stata quasi una reazione alla rigida educazione ricevuta. Yasumi, che ha un innato senso degli affari, deve aiutare suo padre a pagare gli enormi debiti che ha contratto e sogna di aprirsi un’attività commerciale per mettersi in proprio e diventare indipendente. Mentre la loro vita scorre tra delusioni e aspirazioni, in parlamento si discute una legge per l’abolizione delle case di tolleranza, che potrebbe porre improvvisamente fine al loro mondo “sotterraneo”, grandemente frequentato da gran parte della popolazione maschile ma che l’ipocrisia dei benpensanti sceglie di non vedere, girandosi dall’altra parte. L’ultimo film di Mizoguchi (che morì poco dopo di leucemia all’età di 58 anni) è un nuovo memorabile ritratto storico sentimentale sulla condizione della donna nella dura società patriarcale del Giappone del suo tempo. Asciutto e realistico nella descrizione ambientale e antropologica delle case di piacere, polemico nei confronti di un sistema sociale arcaico e maschilista che costringe molte donne al degradante ruolo di schiava del sesso, pessimista sulle possibilità di un reale cambiamento della situazione, rigido nel rifiuto di ogni patetismo melodrammatico, dolente e pietoso verso le cinque protagoniste, tratteggiate con ritratti esemplari dal punto di vista introspettivo, è un po’ la summa della poetica dell’autore, con una vena più orientata al cinico disincanto che al lirismo elegiaco. Il personaggio più interessante è quello di Yasumi, la cui avidità, abbinata ad una furbizia maliziosa tutta femminile, le consente di affrancarsi dalla schiavitù economica. Splendido l’epilogo delicatamente toccante, la degna chiusura della carriera di un genio. Il film venne distribuito in Italia solo nel 1960 e non è stato mai doppiato, ma è reperibile in lingua originale con sottotitoli. Ne esiste anche un’altra versione, di fatto equivalente, con il titolo Il quartiere delle luci rosse.

Voto:
voto: 4,5/5

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