Due avventurieri americani senza scrupoli si uniscono ad un abile cercatore d'oro messicano per trovare un ricco giacimento sulla Sierra Madre. L'impresa riesce e i nostri mettono la mani su una fortuna ma, colti dall'avidità della febbre dell'oro, cercano di uccidersi l'uno con l'altro per non dividere il ricco bottino. Finirà tutto con una clamorosa beffa del destino. Dopo la lunga pausa bellica, Huston torna a Hollywood, deciso a rimettere la sua carriera sui giusti binari. Ha difficoltà a convincere la Warner a realizzare un film dal romanzo di un misterioso autore nascosto dietro lo pseudonimo di Bill Traven, insistendo, per di più, per girarlo in esterni, in Messico, nei luoghi reali dell’azione. Alla fine ci riesce e ne trae un piccolo capolavoro, Il tesoro della Sierra Madre, sarcastico apologo sull’avidità e, ancora una volta, sulla vanità delle illusioni umane. In bilico tra western atipico, avventura esotica, dramma psicologico e parabola morale, il film è narrativamente avvincente ed espressivamente intenso, e resta un classico del cinema americano, anche se qualche critico ha tentato di ridimensionarne l’importanza. Memorabili le interpretazioni di Humphrey Bogart e del padre del regista, Walter Huston, la cui omerica risata finale è rimasta celebre come derisorio suggello alla “filosofia” del film ed ha ricevuto molteplici omaggi (in particolare da Peckinpah nell’ultima scena de Il mucchio selvaggio). Gli Huston sono entrambi insigniti dell’Oscar (il padre come miglior attore e il figlio come miglior regista e sceneggiatore).
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