1943, durante la Seconda Guerra mondiale, fronte russo: la Wehrmacht è ormai spezzata nel corpo e nello spirito e sta per soccombere di fronte all'offensiva sovietica. Il capitano Stransky, aristocratico senza valore, si scontra con il sergente Steiner, valoroso combattente, perchè vorrebbe ottenere la prestigiosa croce di ferro al valor militare, che in realtà non merita, ma Steiner non lo appoggia. Per vendicarsi il bieco ufficiale abbandona il sergente e la sua truppa di fronte all'attacco dell'esercito russo. Ma ha sottovalutato la forza e la resistenza di Steiner. Nel 1977 Peckinpah accetta di dirigere in Europa un film di produzione anglo-tedesca, tratto da un poderoso romanzo di guerra del teutonico Willi Einrich, e stavolta, imprevedibilmente, riesce a tirarne fuori un altro capolavoro. La croce di ferro è un film bellico di straordinaria potenza drammatica e di strenua coerenza artistica. Peckinpah trasforma il romanzo originale in una inopinata nuova versione del Mucchio selvaggio, facendo di una pattuglia di guastatori della Wehrmacht, durante la seconda guerra mondiale, un gruppo di antieroi in lotta col mondo intero (non solo i russi, ma anche e soprattutto i propri commilitoni, le gerarchie militari e l’Autorità, in senso lato). Il protagonista James Coburn (già grande interprete di Pat Garrett e Billy Kid) incarna il radicale ribellismo del regista, che conferisce alla vicenda toni visionari, probabilmente in sintonia con i propri fantasmi interiori, oltre che con le proprie ossessioni artistiche. Qui però mancano i tocchi elegiaci, e prevalgono il disgusto, la disperazione e un’attenzione quasi morbosa per i dettagli macabri. Da notare il magistrale montaggio della sequenza iniziale, di quella della festa in ospedale e di tutte quelle d’azione (spesso al livello di quelle del Mucchio selvaggio per risalto plastico e stilizzazione). L'operazione di demitizzazione del cinema bellico e dei suoi stereotipi è ferocemente totalizzante: non ci sono eroi, non ci sono vincitori, ma solo perdenti, sopraffatti da un orrore di carne e di sangue privo di senso. Il regista sintonizza con geometrica precisione la sua "follia" artistica a quella della guerra, regalandoci un affresco indimenticabile di furia disperata. L'ultimo ruggito di un leone indomabile.
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