XI secolo: nel Giappone feudale del periodo Heian, il governatore di una provincia viene sollevato dal suo incarico perché ritenuto troppo debole e la sua famiglia, rapita da una banda di briganti, viene ridotta in schiavitù. La moglie Tanaki viene obbligata alla prostituzione mentre i suoi due figli, Zushiô e Anju, finiscono schiavi nel feudo del terribile intendente Sansho che li costringe a vivere in condizioni umilianti, sottoposti a terribili fatiche e ad ogni sorta di violenze. I due ragazzi si fanno forza l'uno con l'altra e cercano di restare uniti, promettendosi che un giorno riusciranno a scappare per ritrovare i loro genitori. Dopo anni di sofferenze Anju muore suicida per evitare di essere nuovamente torturata, mentre Zushiô riesce a fuggire, si mette alla ricerca della madre e prepara la sua vendetta nei confronti dello spietato Sansho. Da un romanzo di Mori Ogai, Mizoguchi, con un adattamento liberamente artistico, ha tratto un potente dramma umano tra le pieghe di un sontuoso affresco storico che, mostrando il tragico, tende al mitologico, assumendo i connotati di una solenne profezia sacra che ci parla di schiavismo, di ingiustizia, di violenza e di sopraffazione. Mettendo apparentemente in primo piano la figura negativa dell'aguzzino Sansho, l'autore è in realtà maggiormente interessato all'analisi della condizione femminile e della libertà sociale in una società tanto mitizzata quanto crudele come quella del Giappone feudale. Il cuore pulsante del film è la toccante vicenda dei due fratelli, la cui triste storia si erge come un monito universale contro il male che gli uomini fanno ad altri uomini. Nonostante la crudezza dei contenuti e, in particolare, di alcune scene, la scelta stilistica del regista è quella di uno sguardo pudico e compassionevole, che ci risparmia i momenti più atroci sfumandoli in un lirismo di magistrale rigore espressivo, che sublima la violenza trasformandola in dolente poesia. In tal senso è assolutamente memorabile la drammatica sequenza del suicidio di Anju, che ribadisce la predilezione dell'autore per lo spirito femminile, così come è altresì straordinario lo struggente epilogo sull'isola, che evitiamo di svelare. E' uno dei grandi capolavori di Mizoguchi che fu premiato al Festival del Cinema di Venezia con il Leone d'Argento (il terzo consecutivo per il grande regista).
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