venerdì 2 giugno 2017

Tarda primavera (Banshun, 1949) di Yasujiro Ozu

Un anziano vedovo teme che la sua adorata figlia Noriko, che si prende cura di lui con affettuosa dedizione, rimanga zitella e fa di tutto per convincerla a farsi una vita propria. Ma la ragazza, ben consapevole che il vecchio padre non potrebbe vivere da solo senza le cure di una donna, non ne vuole sapere. Allora l'uomo tenta il tutto per tutto e finge di essere in procinto di risposarsi, sperando così di vincere la riluttanza di Noriko. Capolavoro di Ozu sul tema della famiglia, che poi diverrà elemento centrale della sua estetica. Limpido e asciutto, mirabile nel suo stile scarno, è un dramma introspettivo di prodigiosa essenzialità ma, al tempo stesso, intenso, lucido, commovente nel suo austero pudore (specialmente nella parte finale che è un modello di elegia dei sentimenti trattenuti ma mirabilmente espressi attraverso sguardi e silenzi). Straordinaria la descrizione ambientale, l'eleganza delle atmosfere, la cura del dettaglio nella rappresentazione sacrale dei piccoli rituali quotidiani e, non ultima, la perfetta recitazione degli attori, al servizio di un'idea di cinema semplice e potente. Nel parlarci di famiglia l'autore anticipa già, in modo seminale, quelli che poi saranno i cardini tematici della sua poetica: l'inesorabile frantumazione del vecchio modello familiare giapponese dopo la fine della seconda guerra mondiale, il sacrificio degli anziani per farsi da parte e subordinare le proprie esigenze a quelle dei figli, che devono trovare il loro posto nel mondo e, quindi, distaccarsi dal nido natio. Memorabile la sequenza in cui il vecchio padre deve dire alla figlia che sta per risposarsi e i due, entrambi visibilmente tesi, passeggiano nervosamente nelle stanze della casa, quasi inseguendosi, per poi pronunciare a malapena poche confuse parole nei momenti di incontro. Tarda primavera segna l'inizio della profonda riflessione dell'autore sui mutamenti post bellici della società giapponese, in cui l'apertura all'occidente e l'arrivo delle influenze culturali e di nuovi modelli di vita dall'America capitalista iniziarono ad incrinare inesorabilmente le tradizioni millenarie e la fiera sacralità nipponica. I segni tangibili di questo progressivo cambiamento (il cartello della Coca Cola che si staglia nella campagna) non sono soltanto di natura materiale, consumistica e di costume, ma operano ad un livello ben più sottile e sotterraneo, che è poi quello che interessa principalmente il regista. Un livello morale, filosofico, ideologico e comportamentale, i cui effetti iniziano a manifestarsi dal microcosmo familiare, per poi estendersi, su larga scala, all'intera società giapponese. Sulla vicenda intima e privata di Noriko e suo padre incombono i mutamenti epocali della storia, il cui spietato pragmatismo tutto trasforma e tutto travolge. Riflessivo e profetico, questo capolavoro in chiaro scuro del cinema asiatico è una grande lezione di compostezza, profondità e dignità nell'analisi dei sentimenti più intensi e personali.

Voto:
voto: 5/5

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