venerdì 2 giugno 2017

Riflessi in un occhio d'oro (Reflections in a Golden Eye, 1967) di John Huston

In un accampamento militare della Georgia una crisi familiare sfocia in tragedia. Il maggiore Weldon Penderton è sposato con la bella Leonora ma è, in realtà, impotente e omosessuale. La donna lo disprezza per la sua condizione e lo tradisce per ripicca. Il maggiore uccide un giovane soldato credendo che sia l'amante della moglie ma commette un clamoroso errore. Splendido dramma psicologico di Huston, girato in Italia anche se ambientato (con molta verosimiglianza) nel profondo Sud degli States, tratto da un romanzo di Carson McCullers. Mi preme segnalare che da un altro romanzo di questa notevole scrittrice, “Il cuore è un cacciatore solitario”, sarà realizzato, un anno dopo, un altro piccolo e misconosciuto gioiello, L’urlo del silenzio (The Heart is a Lonely Hunter, 1968) di Robert Ellis Miller con Alan Arkin. Con Riflessi in un occhio d'oro Huston si libera delle preoccupazioni commerciali dei suoi ultimi film e realizza una potente opera d’autore, rigorosa e piena di implicazioni scabrose (tra le prime del cinema americano ad affrontare il tema, fin allora eluso o rimosso, dell’omosessualità maschile), ammirevole per l’approfondimento psicologico sui personaggi e la coerenza degli sviluppi narrativi. Il tono intimistico e le scelte antispettacolari (tra le quali la rinunzia al colore, desaturato dalla raffinata fotografia di Aldo Tonti, fino ad assumere sfumature seppia) resero il film ostico per il grande pubblico e ne decretarono l’insuccesso commerciale, nonostante le superbe interpretazioni di un cast formidabile (Marlon Brando è assolutamente eccezionale in una parte difficilissima, ma anche Elizabeth Taylor e Julie Harris sono splendide e non sfigura nemmeno il solitamente legnoso Brian Keith). Nonostante il tono apparentemente grottesco è un'opera inquietante e corrosiva, in cui il regista adotta un asettico distacco dai personaggi e dalle loro azioni eccessive, senza addentrarsi in giudizi morali o in giustificazioni psicologiche ma presentandoci, nudo e crudo, uno sporco dramma sudista torbido e barocco. E' una delle opere più profonde e interessanti dell'autore, che merita un obbligato recupero.

Voto:
voto: 4,5/5

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