In
una torrida giornata estiva un uomo apparentemente anonimo, William Foster, è
bloccato in un mega ingorgo a Los Angeles mentre la sua mente è attanagliata da
profondi tormenti interiori. Foster ha perso il lavoro, la moglie lo ha
lasciato portando con sè la loro bambina e si trova in un periodo di profondo
stress emotivo. L’uomo abbandona il veicolo, litiga al telefono con la moglie e
poi si incammina a piedi nelle strade assolate della metropoli californiana,
dando inizio ad un’odissea di violenza e di follia distruttiva. Intanto,
dall’altro lato della città, il sergente Martin Prendergast, zelante poliziotto
al suo ultimo giorno di lavoro prima della pensione, riceve la segnalazione di
un’auto abbandonata nel traffico, inizia a indagare ed ha la giusta intuizione
di collegare l’evento con il gran numero di denunce di atti violenti che
arriveranno in seguito. E sarà proprio l’esperto Prendergast a mettersi sulle
tracce di Foster, reso incontrollabile e pericoloso da un’ira troppo a lungo
covata dentro. Intenso thriller drammatico di Joel Schumacher, teso e nervoso
come il suo protagonista, un uomo qualunque trasformato in “mostro” dalle
pressioni di una vita disumana che va troppo veloce e dalle profonde
ingiustizie sociali di un paese pieno di contraddizioni, il cui ammaliante spot
di “terra delle opportunità” è ormai solo uno sbiadito ricordo. La veemenza
della denuncia dell’autore contro i paradossi della vita metropolitana è
corroborata da acuti graffi grotteschi che rendono la discesa all’inferno del
protagonista uno straniante percorso senza ritorno nelle storture e nelle
metastasi del modello socioeconomico americano. Non esente da ruffiano
qualunquismo nel cavalcare l’onda lunga del malcontento popolare, si avvale di
una prima parte straordinaria per il crescendo di tensione che riesce a creare
e per la capacità di gestione del ritmo delle due vicende parallele. Quando poi
la vicenda decolla e si entra nel vivo dell’azione si tocca qualche eccesso
inverosimile, con inevitabile indulgenza nella retorica sentimentale nel finale
amaramente inevitabile. Recitato in modo eccellente dai due protagonisti, Michael
Douglas e Robert Duvall, che ci offrono due prestazioni antitetiche e massicce,
vale soprattutto come disincantata riflessione sulla fine dell’edonismo
capitalistico, catturando perfettamente lo spirito rabbioso di un periodo di
profondo tumulto sociale, a cui il modello multi etnico, ormai esteso a tutto
l’occidente, conferisce ulteriore complessità.
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