mercoledì 2 marzo 2016

Monster (Monster, 2003) di Patty Jenkins

Storia vera di Aileen Wuornos, una reietta originaria del Michigan, con un doloroso passato alle spalle e una vita difficile dedita alla prostituzione occasionale. Per difendersi da un cliente violento, che cerca di stuprarla dopo averla selvaggiamente percossa, Aileen gli spara e lo uccide, iniziando così un pericoloso percorso di follia omicida che la porterà a sfogare la sua rabbia repressa su altre sei vittime, tutti clienti, assassinati dalla donna tra il 1989 ed il 1992. Il suo unico conforto, una relazione omosessuale iniziata con la più giovane Selby, scappata di casa per stare con lei, non riuscirà a salvarla da un atroce destino: l’arresto e la condanna a morte, eseguita tramite iniezione letale nel 2002. Sordida vicenda di solitudine, disperazione e degrado morale, ambientata in quella provincia americana così lontana, in tutti i sensi, dall’iconografia “da cartolina” che da sempre accompagna l’America delle grandi metropoli e che è ben radicata nell’immaginario collettivo. La regista Patty Jenkins, che ha realmente conosciuto la vera Aileen Wuornos poco prima della sua esecuzione, porta sullo schermo la storia della prima donna “serial killer” d’America, affrontando la vicenda con sensibilità e compassione e ricercandone le cause della violenza omicida in una vita di sofferenze e di soprusi. Pur non assolvendo il suo personaggio, la regista cerca di condividerne le colpe con una famiglia assente ed una società cinica, ferocemente crudele nei confronti delle persone “diverse” e non omologate. Tuttavia, nonostante il tentativo di mantenere sempre lucida l’analisi di una materia così scottante, la pellicola risulta spesso troppo cauta, didascalica, insabbiandosi a volte in un pavido schematismo. Per fortuna ci sono le due interpreti femminili, entrambe bravissime e credibili, a risollevarne le sorti, elevando l’opera sopra la media. Straordinaria la trasformazione fisica di Charlize Theron, ingrassata ed imbruttita per l’occasione, encomiabile per la sua completa adesione allo sgradevole personaggio di Aileen, a cui si è donata anima e corpo, cercando sempre di mostrarne i lati oscuri e quelli teneri, la rabbiosa violenza e le mille fragilità. Il risultato è una prova attoriale potente, quasi sempre sopra le righe, ma indubbiamente sorprendente e meritevole di tutti i premi ricevuti (Oscar, Golden Globe, Berlinale). Ma va lodata anche la più sfumata performance di Christina Ricci nel ruolo di Selby, una fragile ragazza lesbica di provincia, invisa dal suo ambiente familiare, che perde la testa per la ribelle e “mascolina” Aileen. Nel loro rapporto intimo e nel mix delle loro personalità, diverse ma complementari, c’è il cuore del film, l’angolo emotivo in cui appartarsi per tener fuori la brutalità del mondo.

Voto:
voto: 3,5/5

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