Una
ladra bella e misteriosa esegue un colpo rocambolesco al Festival del Cinema di
Cannes: seduce un’attrice nel backstage e le ruba un corpetto d’oro, a forma di
serpente, tempestato di diamanti. Ma le foto scattate da un paparazzo mettono
nei guai la donna, riportando sulle sue tracce dei vecchi complici che sono
stati truffati dalla femme fatale.
Braccata dai gangsters, la ragazza in fuga coinvolge anche il fotografo nella
pericolosa vicenda. Ambiguo thriller citazionista di De Palma, che omaggia non
solo il solito Hitchcock ma anche la sua carriera passata, è un film patinato,
onirico, conturbante per la sua carica erotica, ma algido nella messa in scena.
Esattamente come il corpo statuario della sua protagonista, Rebecca Romijn, la
pellicola emana una sensualità glaciale, distante, altera. Come al solito il
talento stilistico del regista è innegabile e lo si può ammirare in numerose
sequenze visivamente fulminanti, magistrali frammenti virtuosistici che
galleggiano in un universo narrativo intellegibile, sfuggente e non sempre
coerente. Tra Lynch e Antonioni, De Palma effettua il suo personale omaggio al
vecchio noir francese, alla figura della dark lady di cui è da sempre
innamorato, mettendo in scena una sorta di Eva Kant sinuosa ed elusiva,
seducente e fragile, pericolosa e misteriosa, ma la sensazione è che
l’interpretazione della Romijn non le renda mai piena giustizia. Lo stesso
Antonio Banderas, nei panni del fotografo ficcanaso, appare svagato e mai
realmente in parte, mentre non si può non elogiare la stupenda Rie Rasmussen,
la cui camminata rimane impressa nella memoria insieme allo straordinario
incipit del film. De Palma sembra ormai limitarsi all’oleografia di sé stesso,
attraverso esercizi di stile ad evidente sospetto di manierismo
autoreferenziale, indubbiamente splendidi, ma fini a se stessi, che non bastano
a sollevare le sorti di un’opera fragile, sbilanciata, sicuramente non
all’altezza delle sue migliori.
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