martedì 1 marzo 2016

Sesso, bugie e videotape (Sex, Lies, and Videotape, 1989) di Steven Soderbergh

Tradimenti, voyeurismo e perversioni a Baton Rouge, Louisiana. L’avvocato rampante John ha sposato Ann, bella ma sessualmente frigida, e la tradisce con la procace cognata Cynthia. Un giorno arriva Graham, vecchio amico di John, che vive la sessualità in maniera singolare e che, forse a causa della sua impotenza, ama riprendere le donne che parlano di sesso e raccontano le proprie esperienze intime. La repressa Ann è irresistibilmente attratta da lui. Interessante esordio del talentuoso Steven Soderbergh, con questa commedia acre e spudorata, che utilizza il sesso (ovvero il tabù per eccellenza) per abbattere l’ipocrisia ed il moralismo dei benpensanti, attuando così una tagliente critica della società borghese. In questo vivace frullato di scandali, coppie che scoppiano, pruriti nascosti e desideri inconfessabili, l’autore attua una lucida analisi sulla natura umana e sulla falsità del modello di vita agiato della middle class, in cui ciascuno s’identifica con la maschera che è costretto a portare dalle convenzioni conformiste, salvo poi rifugiarsi nell’eros “proibito” per cercare di essere realmente sé stesso. La struttura narrativa, vivace ma schematica, è quella di un corrosivo dramma da camera, verboso e sfacciato, che intende tracciare una sovrapposizione concettuale tra la vita reale e quella in video, che ne diventa non solo un surrogato evasivo ma, soprattutto, un’entità a cui riferirsi per confessare il proprio mondo interiore e portarlo alla luce, proprio come durante una seduta di psicanalisi. Il voyeurismo non appare quindi come un esercizio esecrabile di cui vergognarsi, ma, piuttosto, uno strumento di liberazione dalla repressione sessuale, in nome di quella libertà di fruizione a cui ciascuno dovrebbe aspirare, senza alcun impaccio morale. Ma il meccanismo diegetico non è sempre ben oliato e, talvolta, s’inceppa nella ricerca esasperata del virtuosismo registico. Però, quando funziona a dovere, garantisce una convincente riflessione sulla vita di coppia, sull’importanza del sesso nella psiche umana e sull’ingerenza del video nel nostro quotidiano. In quest’universo materialista e un po’ meschino messo in piedi dall’autore, in cui alcuni hanno voluto cogliere riferimenti al cinema di Rohmer, la libido appare in bilico tra omesso ed inteso, sul filo sottile di una narrazione volutamente irritante, che intende avvolgere lo spettatore in un ambiguo gioco sgradevolmente conturbante. Ma non sempre la “confessione” è all’altezza delle attese, perché le intriganti riflessioni e gli arditi simbolismi che il regista mette in campo non sanno elevarsi al di sopra di una platonica idealizzazione della sessualità “disinvolta”. Il film è piaciuto tantissimo ai francesi, che lo hanno premiato con la Palma d’Oro al Festival di Cannes, con una certa magnanimità. Nel buon cast spiccano Andie MacDowell e James Spader, un vero abitué dei ruoli “scandalosi”.

Voto:
voto: 3,5/5

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