Un
maldestro barbiere ebreo perde la memoria in seguito ad una ferita di guerra. A
causa della sua incredibile somiglianza fisica con Adenoid Hynkel, spietato
dittatore della Tomania che perseguita gli ebrei, il barbiere, grazie ad
un’incredibile serie di fortunosi equivoci, prenderà il suo posto e potrà
pronunciare il suo discorso alla nazione. Travolgente satira antinazista e
primo film parlato di Charlie Chaplin: regista, sceneggiatore, produttore e due
volte attore protagonista nel doppio ruolo del barbiere (che è una sorta di
clone di Charlot) e del dittatore. Dietro i modi e i tempi di una parodia
graffiante si nasconde il film politico che l’autore voleva fare fin da quando
l’ideologia nazista era comparsa in Europa, pur dovendo affrontare il duro
scetticismo dei produttori americani, sia per connivenza, sia per pavidità, sia
per paura di un flop commerciale, sia per non peggiorare (era questa la
scusante ufficiale) la situazione degli ebrei del vecchio continente. Chaplin
voleva così tanto questo film che finì per produrselo da solo, anche se in
seguito disse apertamente che, se avesse saputo della reale portata dell’orrore
dei campi di sterminio in Polonia, non avrebbe mai avuto il coraggio di girare
una pellicola derisoria su Hitler e la sua folle ideologia. In ogni caso
quest’opera di satira geniale è riuscita ad essere persino preveggente rispetto
agli accadimenti storici successivi, quasi anticipando la micidiale tempesta di
morte che il nazifascismo abbatté sul resto del mondo. Nondimeno Il grande dittatore è un film di
irresistibile forza comica e di corrosiva ironia, un tripudio di trovate e di
situazioni esilaranti che non hanno perso un briciolo della loro potenza
demistificatrice. La sequenza di Hynkel/Hitler che gioca con il mappamondo è
rimasta nella storia del cinema ed è uno dei momenti comici più conosciuti in
assoluto. Ma ve ne sono molte altre da citare: i dialoghi con Napaloni
(Mussolini) che causano frustrazione nel dittatore nazista, la rasatura al
ritmo di un ballo magiaro o la gag dei bottoni. Alla sua uscita il film suscitò
aspre polemiche e creò divisioni politiche: in America fu un successo e
ricevette cinque candidature agli Oscar, ma non vinse nessuna statuetta.
Nell’Europa occupata dai nazisti fu vietato e fu bollato come prodotto “comunista”
da tutti i regimi di destra. Uscì invece in Inghilterra nel 1941, ma molti
della sinistra lo criticarono per la sua grossolana superficialità. In Italia
arrivò solo nel 1949 con tagli di censura per circa 4 minuti, in particolare
per la scena in cui appare la moglie di Napaloni, dato che Rachele Mussolini
era ancora in vita. L’enfatico discorso finale del barbiere alla nazione è il
punto di vista dell’autore sulla libertà e l’uguaglianza tra gli uomini, la sua
visione del mondo, sicuramente utopistica e protetta dall’egida americana, ma
coerente con quanto affermato in tutte le sue opere, intrise di un senso di
garbata e profonda umanità.
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