L’incredibile
vita di Danny Boodman T.D. Lemon, detto “Novecento”, trovato neonato, e abbandonato,
il 1° gennaio del 1900 (da cui il soprannome) sul transatlantico “Virginian”.
Adottato dall’intero equipaggio del piroscafo, il bambino cresce sulla nave tra
macchinisti, cuochi, ufficiali, ricchi signori che viaggiano in prima classe ed
emigranti che sognano una miglior vita nel “nuovo mondo”. Quando scopre di avere
un incredibile talento per il pianoforte, diverrà l’attrazione principale
dell’orchestra di bordo e trascorrerà gli anni suonando la sua “musica degli
dei”, senza mai scendere dalla nave. Molto tempo dopo, quando il “Virginian”,
ormai dismesso, sta per essere distrutto con la dinamite, il suo miglior amico,
il trombettista Max Tooney, è convinto che “Novecento” sia ancora nascosto da
qualche parte, nella “pancia” di quella nave da cui non è mai sceso.
Liberamente ispirato al monologo teatrale “Novecento” di Alessandro Baricco,
questo magniloquente film di Tornatore è un colossale dramma intimista, denso
di suggestioni malinconiche e citazioni cinefile, sospeso tra epica e
ridondanza, poesia e cadute di stile. Ricercato nello stile e alla continua
ricerca del colpo ad effetto, è una sontuosa fiera “pachidermica” di tutti i
vizi e le virtù del cinema di Tornatore. I momenti di volo alto sono parecchi:
il prologo con l’apparizione dell’America, il pianoforte che “pattina” durante
la tempesta, la sfida al piano con Jelly Roll Morton, l’incontro fatale con la
ragazza dal viso d’angelo. Ma la pellicola è anche spesso prolissa, insistita, artificiosa,
manieristicamente compiaciuta, retorica nel costante inseguimento
dell’artificio lezioso, dell’emozione visiva. In particolare il lunghissimo
finale è così carico di enfasi sentimentale che se ne esce stremati. Altre
pecche evidenti dell’opera sono una sceneggiatura esile, a cui l’autore cerca
costantemente di ovviare con i numerosi momenti di grande cinema, un casting
non del tutto azzeccato (il pur bravo Tim Roth non appare sempre la scelta
migliore nel ruolo di “Novecento”) e degli effetti speciali digitali tanto
grossolani da risultare maldestri. Un film così fortemente squilibrato e
disomogeneo non poteva che spaccare in due la critica. Ciò che ha messo, invece,
tutti d’accordo è la splendida colonna sonora di Ennio Morricone, che fa da
collante all’intera opera e ne costituisce un prezioso valore aggiunto. La
versione internazionale, più corta di quaranta minuti, è sicuramente un film
migliore. Il giudizio finale positivo va anche letto come atto di fiducia verso
il regista, che punta sempre in alto e che possiede un senso epico della
visione che guarda dritto al grande cinema italiano dei Maestri.
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