venerdì 4 marzo 2016

La leggenda del pianista sull'oceano (La leggenda del pianista sull'oceano, 1998) di Giuseppe Tornatore

L’incredibile vita di Danny Boodman T.D. Lemon, detto “Novecento”, trovato neonato, e abbandonato, il 1° gennaio del 1900 (da cui il soprannome) sul transatlantico “Virginian”. Adottato dall’intero equipaggio del piroscafo, il bambino cresce sulla nave tra macchinisti, cuochi, ufficiali, ricchi signori che viaggiano in prima classe ed emigranti che sognano una miglior vita nel “nuovo mondo”. Quando scopre di avere un incredibile talento per il pianoforte, diverrà l’attrazione principale dell’orchestra di bordo e trascorrerà gli anni suonando la sua “musica degli dei”, senza mai scendere dalla nave. Molto tempo dopo, quando il “Virginian”, ormai dismesso, sta per essere distrutto con la dinamite, il suo miglior amico, il trombettista Max Tooney, è convinto che “Novecento” sia ancora nascosto da qualche parte, nella “pancia” di quella nave da cui non è mai sceso. Liberamente ispirato al monologo teatrale “Novecento” di Alessandro Baricco, questo magniloquente film di Tornatore è un colossale dramma intimista, denso di suggestioni malinconiche e citazioni cinefile, sospeso tra epica e ridondanza, poesia e cadute di stile. Ricercato nello stile e alla continua ricerca del colpo ad effetto, è una sontuosa fiera “pachidermica” di tutti i vizi e le virtù del cinema di Tornatore. I momenti di volo alto sono parecchi: il prologo con l’apparizione dell’America, il pianoforte che “pattina” durante la tempesta, la sfida al piano con Jelly Roll Morton, l’incontro fatale con la ragazza dal viso d’angelo. Ma la pellicola è anche spesso prolissa, insistita, artificiosa, manieristicamente compiaciuta, retorica nel costante inseguimento dell’artificio lezioso, dell’emozione visiva. In particolare il lunghissimo finale è così carico di enfasi sentimentale che se ne esce stremati. Altre pecche evidenti dell’opera sono una sceneggiatura esile, a cui l’autore cerca costantemente di ovviare con i numerosi momenti di grande cinema, un casting non del tutto azzeccato (il pur bravo Tim Roth non appare sempre la scelta migliore nel ruolo di “Novecento”) e degli effetti speciali digitali tanto grossolani da risultare maldestri. Un film così fortemente squilibrato e disomogeneo non poteva che spaccare in due la critica. Ciò che ha messo, invece, tutti d’accordo è la splendida colonna sonora di Ennio Morricone, che fa da collante all’intera opera e ne costituisce un prezioso valore aggiunto. La versione internazionale, più corta di quaranta minuti, è sicuramente un film migliore. Il giudizio finale positivo va anche letto come atto di fiducia verso il regista, che punta sempre in alto e che possiede un senso epico della visione che guarda dritto al grande cinema italiano dei Maestri.

Voto:
voto: 3,5/5

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