Nella sezione di massima sicurezza del carcere romano di Rebibbia, il regista Fabio Cavalli recluta attori tra i detenuti per una rappresentazione teatrale all'interno dell'istituto di pena del "Giulio Cesare" di William Shakespeare. Il film inizia con la fine dello spettacolo e poi "riavvolge il nastro", mostrando le selezioni, i provini, la scelta dei ruoli e infine la messa in scena della celebre tragedia del bardo, in cui ogni attore-detenuto recita la sua parte nel proprio dialetto di origine, per massimizzare realismo e spontaneità. Splendido docu-dramma dei fratelli Taviani, che hanno avuto l'idea del film e lo hanno realizzato all'interno del carcere di Rebibbia, utilizzando dei veri detenuti come attori. E' uno dei loro film migliori, il più sperimentale ed originale, una perfetta fusione tra realtà e fiction, cinema e teatro, con un'operazione anti-retorica e pirandelliana che cerca di estrarre la verità dalla finzione. E' un'opera sobria e potente, girata in bianco e nero e a colori per fornire uno scarto stilistico ai due momenti: le prove, in cui i detenuti imparano la parte dei personaggi, e la messa in scena, in cui i detenuti diventano i personaggi, ma portando dentro anche un po' di loro stessi. Il principio alla base del film è tanto semplice quanto geniale, per certi versi spiazzante e di altissimo livello artistico-morale: rileggere il testo shakespeariano adattandolo all'ambiente carcerario, in modo che ogni detenuto inserisca nel personaggio parte del proprio vissuto, adattandolo alla propria sensibilità ed alla propria "lingua" dialettale. In questo modo l'opera azzera la distanza tra realtà e rappresentazione, dimostra l'universalità e la modernità della tragedia di Shakespeare e suggella il ruolo salvifico e rieducativo dell'arte. Nel finale della pellicola uno dei detenuti, prima di rientrare in cella, dice: "Da quando ho conosciuto l'arte, questa cella è diventata una prigione". L'arte può cambiare la vita, può renderci persone migliori, può darci nuove prospettive e può incarnarsi nel grande cinema, come in questo film dei Taviani. E uno dei detenuti, il napoletano Salvatore Striano, attore lo è diventato per mestiere e per davvero. Cesare deve morire è stato premiato al Festival di Berlino con l'Orso d'Oro (che l'Italia non vinceva dal 1991) e con il Premio della giuria ecumenica.
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