Nel 44 a.C. Giulio Cesare ha accentrato tutti i poteri nelle sue mani ed è diventato di fatto un dittatore. Questo gli crea l'ostilità di un gruppo di nobili e politici che temono la fine della Repubblica ed un ritorno della monarchia a Roma. In breve dalle parole si passa all'azione e il risentimento si trasforma in congiura, guidata da Cassio e Bruto, figlio adottivo di Cesare. Alle idi di marzo il dittatore viene assalito dai ribelli e ucciso da 23 pugnalate. Dopo il delitto Cassio e Bruto cercano di sobillare il popolo portandolo dalla loro parte ma falliscono nel compito. Avrà invece successo l'abile Marco Antonio, fedele discepolo del dittatore assassinato, che riesce a conquistare il favore popolare e quello militare delle legioni, accendendo la fiamma dello sdegno contro i rivoltosi. I congiurati fuggono da Roma, organizzano un loro esercito in oriente ma vengono sconfitti in Macedonia, nella battaglia di Filippi, mettendo così fine al sogno repubblicano ed aprendo la strada per l'imminente Impero. Eccellente adattamento cinematografico della tragedia omonima di William Shakespeare, il più politico tra i testi del bardo. Dei diversi film per il cinema dedicati a Giulio Cesare, questo di Mankiewicz è il migliore in assoluto, quello con cui ogni eventuale riproposizione futura dovrà inevitabilmente confrontarsi. Fino a quando l'aderenza al testo shakespeariano è massima il film è straordinario: teatrale nell'accezione più positiva del termine, carico di forza evocativa e di patos drammatico che deriva dai magnifici dialoghi. E' essenzialmente un grande film di attori, le cui magistrali interpretazioni hanno fatto scuola, conferendo alla pellicola un alone mitico nella storia del cinema. I più bravi sono i due protagonisti: Marlon Brando (Marco Antonio) e James Mason (Bruto), in particolare quando entra in scena Brando, con il suo carisma, la fisicità straripante, lo sguardo fiammeggiante e l'intonazione inconfondibile, non ce n'è più per nessuno e il grande attore si divora il film in un solo boccone. Leggenda vuole che, durante il celeberrimo discorso di Marco Antonio alla folla per onorare la memoria di Cesare (il momento topico della tragedia shakespeariana e della pellicola), sul set partì un applauso spontaneo per Brando da parte di colleghi e maestranze, affascinati dalla sua performance veemente e appassionata. Sfarzoso e opulento nelle scenografie e nei costumi (come tutti i prodotti MGM dell'epoca), riesce a conciliare con rigorosa coerenza il senso tragico del testo d'origine con l'esigenza spettacolare comune a questo tipo di produzioni americane. Venne girato interamente a Hollywood (e non a Cinecittà, come era invece uso comune in quegli anni), ebbe un grande successo di pubblico e critica, ma il Festival di Venezia rifiutò di presentarlo in concorso, temendo un pericoloso accostamento politico-ideologico con il regime fascista, in un momento storico in cui certe ferite del recente passato erano ancora troppo dolorose. Fu premiato con l'Oscar alla migliore scenografia, su 5 nomination complessive, tra cui Brando come miglior attore protagonista. Per lui fu la terza candidatura consecutiva e l'anno dopo sarebbero diventate quattro, un record ancora imbattuto nella storia degli Oscar.
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