venerdì 7 maggio 2021

Idolo infranto (The Fallen Idol, 1948) di Carol Reed

Il piccolo Philip, figlio unico di un diplomatico inglese, viene affidato alle cure dei domestici di casa durante una lunga assenza del padre. Il bambino ha un rapporto speciale con il maggiordomo Herbert, da lui fortemente idealizzato perchè lo comprende, lo ascolta, gli dedica il suo tempo e asseconda le sue fantasie infantili con racconti inventati di viaggi esotici avventurosi, che in realtà non ha mai fatto. Un giorno Philip scopre il suo idolo al tavolo di un bar insieme ad una giovane ragazza e, incapace di mentire, si lascia sfuggire la cosa, confessandola alla rigida governante di casa, la signora Baines, moglie di Herbert. Questo innescherà una serie di eventi tragici che spezzeranno l'innocenza del ragazzo. Dal racconto "The Basement Room" di Graham Greene, il regista Carol Reed ha tratto un magistrale dramma introspettivo sulla psicologia infantile, denso di simbolismi e di sfumature, sontuosamente impaginato in una messa in scena sobria e calibrata che lo rende un thriller d'atmosfera di grande impatto emotivo. Lo sviluppo narrativo ha la perfezione geometrica di un meccanismo a orologeria, in cui da un lato abbiamo la prospettiva sognante del piccolo Philip, che vede il mondo degli adulti come un dedalo incomprensibile che gli provoca smarrimento e, dall'altro, l'indagine poliziesca ricca di suspense che tiene lo spettatore col fiato sospeso. Il doppio registro è sostenuto da una regia agile e dinamica, carica di inquadrature veloci e stacchi di montaggio, in cui il punto di vista è quasi sempre quello del bambino, un osservatore curioso, incerto o spaventato a seconda delle situazioni. Il cuore del racconto è nella ragnatela di bugie e sotterfugi che ingarbugliano la storia e imprigionano i personaggi, una rete che il bambino cerca disperatamente di sciogliere, pur di difendere (ai propri stessi occhi) la legittimità del suo idolo (Herbert), finendo però per intricarla ulteriormente, mettendo l'uomo in una posizione umana e morale sempre più rischiosa. L'inviluppo accerchiante delle menzogne attorno a cui ruota il perno drammatico del film viene suggerito dall'autore (con notevole simbologia visiva) attraverso la forma vorticosa della grande scala della casa, dove avvengono tutte le sequenze chiave, e spesso inquadrata dall'alto o dal basso in modo da enfatizzarne l'andamento avvolgente a spirale. Un altro tema cardine dell'opera è quello dell'innocenza che, in situazioni di scarso controllo, può diventare paradossalmente più pericolosa della cattiveria. Infatti, semplificando la lettura della pellicola, è corretto affermare che tutto avviene per colpa delle fantasie di un bambino ingenuo che, sentendosi solo, finisce per considerare straordinario un uomo grigio e mediocre, finendo per provare sentimenti, delusioni e sensi di colpa abnormi e ingiustificati, ed innescando quindi il motore della tragedia. La regia è abilissima a illuminare tutti i lati in ombra del mondo illusorio infantile, evidenziandone le dinamiche istintive, eccessive e imprevedibili, con finissima acutezza introspettiva e raffinata densità stilistica. Nel cast svetta su tutti Ralph Richardson nel ruolo di Herbert Baines. Il film vinse due premi di rilievo: il Premio internazionale per il miglior soggetto e sceneggiatura al Festival di Venezia e quello di miglior film ai BAFTA inglesi del 1948.

Voto:
voto: 4,5/5

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